C'è un nuovo fenomeno palestinese: è il cantante gazawi Mohammad Assaf, 22 anni, diventato una delle star della seconda stagione di Arab Idol, l’edizione mediorientale del più noto tra i talent-show musicali. La vicenda del cantante è già diventata una questione di orgoglio nazionale.
Da tempo ormai i dibattiti politici e gli opinionisti in Medio Oriente fanno molta fatica a scaldarsi sul tema della Palestina. Complici anche le estenuanti divisioni tra le fazioni palestinesi (grazie alle quali Salam Fayyad sta battendo ormai ogni record mondiale di durata per un premier dimissionario). Tutto questo, però, non vuole dire che il tema dell’identità palestinese sia diventato debole. È piuttosto un fiume carsico che ogni tanto affiora in superficie. E una delle modalità privilegiate attraverso cui questo fenomeno oggi si verifica sono i nuovi format della cultura popolare.
Premessa un po’ altisonante per parlare del nuovo fenomeno palestinese: il cantante gazawi Mohammad Assaf, 22 anni, diventato una delle star della seconda stagione di Arab Idol. Per chi non lo sapesse, Arab Idol è l’edizione mediorientale del più noto tra i talent-show musicali e va in onda il sabato sera sull’emittente araba Mbc. Sabato sera siamo arrivati alla terza puntata della fase finale – partita con tredici cantanti di otto diversi Paesi – e il palestinese Mohammad resta in gara. La strada è ancora lunga fino all’ultima puntata che il 6 luglio decreterà il vincitore, ma come sempre accade in Palestina la vicenda del cantante è già diventata una questione di orgoglio nazionale. Unendo tra l’altro Gaza e la Cisgiordania ben al di là delle infinite diatribe tra Fatah e Hamas.
Così – come racconta l’articolo che rilanciamo sotto – in favore di Mohammad Assaf si sono mossi in persona anche il presidente Mahmoud Abbas e il citato premier dimissionario Salam Fayyad, invitando tutti i palestinesi a votare per lui. Da parte sua – poi – la compagnia di telefonia mobile Jawal ha addirittura annunciato che gli sms per votare Assaf nel talent show non saranno addebitati. Tra l’altro la storia del giovane cantante di Gaza è in qualche modo simbolica delle difficoltà quotidiane che la popolazione vive nella Striscia: ha raccontato di essere arrivato in ritardo alle audizioni al Cairo e di aver dovuto scavalcare il muro per entrare. L’unica differenza è che lì pare abbia trovato un saudita che gli ha ceduto il posto per partecipare comunque all’audizione: una solidarietà araba molto concreta, non così frequente invece in altri ambiti…
Se Mohammed Assaf galvanizza i palestinesi, lo stesso non si può invece dire per il gruppo hip hop dei Dam, tre rapper abbastanza popolari anche all’estero che stanno facendo discutere a Ramallah. Nel loro nuovo album Dabke on the Moon non si limitano infatti più ai «classici» versi di protesta contro l’occupazione israeliana. In una canzone intitolata Se potessi tornare indietro in tempo portano infatti sotto i riflettori la questione dei matrimoni forzati e dei femminicidi in Palestina. Scelta però non indolore: c’è chi li ha criticati dicendo che affrontano il tema «senza inserirlo nel suo contesto» e così alimentano solo «gli stereotipi» sulle donne arabe. Da parte loro i rapper hanno replicato dicendo che «se vogliamo essere onesti con noi stessi dobbiamo avere il coraggio di affrontare anche i tabù della nostra società».
Mohammed Assaf e i Dam: due volti di una Palestina che – nonostante tutte le sue contraddizioni – è molto più viva di quanto si creda.
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