In Israele gli archeologi hanno sempre nuovi ritrovamenti da presentare. Di recente sono state riportati alla luce un ampio pressoio per la produzione di vino, il modello in argilla di una chiesa d’epoca bizantina e uno dei più sofisticati bagni rituali mai scoperti fino ad oggi.
(Milano/e.p.) – In Israele gli archeologi hanno sempre nuovi ritrovamenti da presentare. Di recente sono state riportati alla luce: un ampio pressoio per la produzione di vino, il modello in argilla di una chiesa d’epoca bizantina e uno dei più sofisticati bagni rituali mai scoperti fino ad oggi.
Il pressoio è stato riportato a cielo aperto nei pressi della città costiera di Ashkelon, all’inizio di questo mese. Per estensione supera i 100 metri quadrati e si compone di tre ambienti: un’area di lavoro con pavimento in ceramica, la sede di una pressa a vite per la pigiatura dei grappoli e tre ampie vasche di fermentazione, con fessure accuratamente realizzate sui lati per consentire il deflusso controllato dei liquidi.
Gli archeologi segnalano che le vasche furono trattate con intonaco impermeabilizzante per evitare che il mosto filtrasse all’esterno. Il pressoio consentiva di produrre vini di qualità, ma dopo la prima spremitura i grappoli venivano pressati una seconda volta per produrre quello che alcune fonti rabbiniche chiamano il «vino dei poveri».
Nella stessa zona negli anni scorsi sono stati riportati alla luce altri tre pressoi simili.
Gli archeologi dell’Autorità israeliana per le antichità (Iaa) hanno anche rinvenuto, ancora una volta vicino ad Ashkelon, il modello in argilla di una chiesa.
L’oggetto, reperto piuttosto raro tra quelli ritrovati negli scavi israeliani, si trovava non lontano dal pressoio. È una specie di contenitore in argilla, con le pareti decorate con motivi floreali e croci. La parte sommitale del modellino ha la forma di un tetto molto spiovente. Ognuno dei quattro angoli è enfatizzato con una sorta di pomo con intenti decorativi.
Secondo gli archeologi la varietà delle decorazioni e le caratteristiche morfologiche dell’oggetto suggeriscono appunto che si tratti della riproduzione di una chiesa.
Una maniglia a occhiello sulla sommità del tetto fa pensare che l’oggetto potesse essere appeso, il che significa probabilmente che veniva utilizzato come lampada ad olio. Gli archeologi reputano che si tratti di un oggetto rituale, che veniva appeso o appoggiato da qualche parte all’interno degli edifici. Le strette aperture cruciformi consentivano di proiettare sui muri vicini delle piccole croci di luce.
Sempre questo mese è stata resa nota la scoperta, a Gerusalemme, di un raro bagno rituale (miqvé) del periodo del Secondo Tempio.
L’archeologo Benyamin Storchan, direttore degli scavi per conto della Iaa, dice che benché in anni recenti a Gerusalemme siano già stati riportati alla luce numerosi bagni rituali, il sistema di adduzione dell’acqua di quest’ultimo è «unico e inusuale».
Il complesso sistema di canalizzazione, spiega Storchan, è «più sofisticato e intricato» che nelle scoperte precedenti.
La Iaa spiega che il bagno era associato a un vicino insediamento abitativo. «Presumibilmente, per via del regime delle precipitazioni e delle condizioni di aridità della regione, gli abitanti cercavano tecniche speciali che permettessero di raccogliere ogni singola goccia d’acqua», dice Storchan.
«È interessante notare – prosegue – che il bagno si conforma a tutte le norme (rituali ebraiche) della kashrut, le quali prescrivono, ad esempio, di convogliare le acque in questo genere di bagni in modo naturale e senza che entrino in contatto con alcun essere umani, assicurando inoltre che l’acqua non filtri nel terreno, ragion per cui le vasche erano state trattate con un particolare tipo di intonaco».