Il primo giorno di ogni mese ebraico, dal 1988 a questa parte, un gruppo di femministe religiose ebree si reca a pregare al Muro occidentale, scampato alla distruzione del Tempio di Gerusalemme, chiedendo parità di diritti rispetto ai fedeli maschi. La loro campagna suscita diatribe, che ora si cerca di ricomporre con un piano proposto da Natan Sharansky.
(Gerusalemme/c.d.) – Di tanto in tanto vengono arrestate, come è accaduto l’11 aprile scorso a cinque di loro. Il primo giorno di ogni mese ebraico, dal 1988 a questa parte, un gruppo di femministe religiose ebree si reca a pregare al Kotel (il Muro occidentale scampato alla distruzione del Tempio di Gerusalemme, altrimenti noto come Muro del Pianto). Arrivano lì e pregano con le stesse modalità previste per gli uomini dal giudaismo ortodosso: avvolte nello scialle della preghiera (il talled) e indossando i filatteri. Così facendo si attirano i fulmini degli ebrei ultraortodossi che amministrano il luogo santo e si impuntano su una sentenza della Corte Suprema che regolamenta l’uso del luogo. L’11 aprile scorso le attiviste erano accompagnate da un centinaio di simpatizzanti, ma solo cinque manifestanti sono state arrestate dalle forze dell’ordine, che hanno fermato anche un ebreo ortodosso per aver cercato di dar fuoco ai libri di preghiera che le donne portavano con sé.
Da qualche tempo gli arresti delle «donne del Muro» si fanno più frequenti, cosa che contribuisce a dare maggiore visibilità, anche mediatica, al movimento e a mettere l’accento sulle differenze che albergano in seno al giudaismo. Queste femministe religiose sono espressione di correnti tanto riformiste quanto ortodosse. Ben oltre le rivendicazioni riguardo al Kotel, è il carattere patriarcale della religione giudaica che viene rimesso in discussione dall’interno.
Per uscire dall’impasse e ricomporre la frattura, un piano è stato presentato al primo ministro Benjamin Netanyahu da Natan Sharansky, il presidente dell’Agenzia ebraica, organizzazione che fa da ponte tra Israele e le comunità ebraiche di tutto il mondo.
La proposta Sharansky sembra suscitare consensi. Tutte le parti paiono d’accordo – salvo forse sui dettagli -, dal rabbino del Kotel, Shmuel Rabinovitch, ai dirigenti delle correnti riformatrici americane (ai quali il presidente dell’Agenzia ebraica ha illustrato il piano nel corso di un recente viaggio negli Stati Uniti).
In sostanza Sharansky propone di raddoppiare lo spazio riservato alla preghiera al Kotel, ampliandolo vero sud fino all’arco di Robinson (dal nome dello studioso Edward Robinson che lo individuò nel 1838 – ndr). Ai tempi di Erode il Grande era questo l’accesso più meridionale al Monte del Tempio sul lato occidentale. Lo spazio ai piedi del Kotel – attualmente suddiviso in due aree, una per i fedeli maschi e una, più ristretta, per le femmine – verrebbe ripartito in tre: un’area per gli uomini, una per le donne e una per la preghiera non conforme alle norme del giudaismo ortodosso. Quest’ultima area rappresenta una novità solo in parte: già nel 2003 la Corte Suprema israeliana stabilì la creazione di uno spazio dedicato alla preghiera non ortodossa che però, nei fatti, si è reso raramente accessibile. Il nuovo piano prevede di metter mano alla zona dell’arco di Robinson, che è attualmente luogo di scavi archeologici e si trova a un livello inferiore a quello del piazzale.
«Ho presentato il piano ai ministri del governo, ai responsabili delle diverse correnti del giudaismo negli Usa, al rabbino del Kotel. Ognuno ha le proprie esigenze, ma tutti comprendono che la situazione attuale, dove il Kotel è divenuto un luogo di divisione e controversie, deve cessare e che bisogna tornare a concepirlo come un luogo unico e unificante», spiega Sharansky.
E tuttavia giorni addietro, facendo riferimento all’arco di Robinson, Anat Hoffman, presidente di «Donne per il Muro», spiegava al quotidiano Haaretz che il suo gruppo è «assolutamente contrario a ogni tipo di compromesso volto a creare una sorta di “muro degli emarginati”».
La Hoffman nutre anche dubbi sulle risorse necessarie per finanziare il progetto e teme che la cifra ipotizzata – tra i 100 e i 200 milioni di shekel (tra i 21 e i 42 milioni di euro) – potrebbe ridursi alquanto (fino a 100-200 dollari, dice lei). A ciò si aggiunge anche il timore che gli ambienti musulmani possano contrastare il progetto, se dovesse coinvolgere la rampa d’accesso alla Spianata delle Moschee (simili levate di scudi si sono già registrate in passato).
Da parte sua il rabbino responsabile dei luoghi santi del Kotel fa valere il punto di vista della comunità locale ultra-ortodossa. «Credo che questo spazio di preghiera dovrebbe conformarsi ai costumi del luogo» ha dichiarato al quotidiano Yedioth Ahronoth, «ma è possibile convivere anche con questa soluzione».