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L’Egitto rischia la «guerra del pane»

Carlo Giorgi
3 aprile 2013
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La crisi economica egiziana rischia di degenerare, entro poche settimane, in una vera e propria «guerra del pane»: la riserva nazionale di grano, infatti, è agli sgoccioli e il governo - senza più soldi - non è in grado di garantire come prima la distribuzione del pane a un prezzo politico, misura di lotta alla povertà introdotta dal presidente Hosni Mubarak.


(Milano) – La crisi economica egiziana rischia di degenerare, nel giro di poche settimane, in una vera e propria «guerra del pane»: la riserva nazionale di grano, infatti, è agli sgoccioli e il governo – senza più soldi – non è in grado di garantire la distribuzione come prima del pane a un prezzo politico, misura di lotta alla povertà molto diffusa, introdotta ai tempi del presidente Hosni Mubarak.

In Egitto il 40 per cento della popolazione vive con meno di 2 dollari al giorno e il pane calmierato è una necessità di cui milioni di persone non possono fare a meno. Il prezzo politico del pane è di 5 piastre (la piastra è un centesimo di sterlina egiziana) alla forma, cifra esigua che equivale, più o meno, a un centesimo di euro. Il costo reale del pane calmierato, però, è di 5 centesimi di euro a pezzo, così la produzione di milioni di forme di pane al giorno grava in modo decisivo sulla spesa dello Stato, che sta pensando di cambiare drasticamente il provvedimento.

Da mesi, infatti, il sistema dei sussidi non funziona più: secondo l’associazione dei panettieri egiziani, che raccoglie 25 mila esercizi privati (di cui 19 mila impegnati nella produzione del pane calmierato), ad oggi lo Stato deve ai singoli panifici 400 milioni di sterline egiziane (circa 46 milioni di euro) per risarcire il costo della farina anticipato dai panettieri. Il credito ha messo in difficoltà i panifici tanto che, già a inizio marzo, 260 esercizi avevano iniziato un inedito sciopero dei forni, interrompendo la protesta solo in attesa di risposte concrete dal governo.

I panettieri sono anche contrari al progetto di riforma proposto dall’esecutivo: il nuovo sistema non escluderebbe la vendita di pane calmierato, ma introdurrebbe una novità semplice quanto rivoluzionaria: ovvero, che il rimborso statale vada applicato non tanto ai chili di grano consumati dai panettieri, quanto alle forme di pane prodotte. Infatti l’aumento del tasso di inflazione (che secondo alcuni è al 25 per cento) sta facendo lievitare il prezzo della farina sul mercato egiziano: i panettieri, con il vecchio sistema, ricevendo dallo Stato la farina a un prezzo calmierato, erano tentati di rivenderla sul mercato nero a un prezzo molto più alto, guadagnandoci in modo disonesto e producendo, di fatto, meno pane per i poveri.

Di fronte alla minaccia di sciopero dei panettieri, il governo ha scelto la linea dura: «Tutti i panettieri “avventati” che decideranno di rispondere all’appello alla disobbedienza civile – ha dichiarato il vice-ministro del Commercio, Bassem Ouda -, ci costringeranno a chiudere la loro attività! E denuncerò tutti i panettieri che si opporranno alla nuova disciplina». Secondo i calcoli del governo il nuovo sistema dovrebbe permettere di risparmiare 11 miliardi di sterline l’anno (circa 1,25 miliardi di euro), rendendo più difficile la rivendita degli ingredienti del pane calmierato sul mercato nero.

Sempre in fatto di pane, desta molte preoccupazioni anche la capacità del governo di reperire adeguate riserve di grano. «La nostra riserva può durare fino alla fine di giugno – ha dichiarato in questi giorni il ministro dell’Agricoltura egiziano, Salah Abdel Moamen -. A metà aprile, però, inizieremo la nuova mietitura e ci aspettiamo di produrre tra i 9 e i 10 milioni di tonnellate di grano. I nostri silos ne possono immagazzinare al massimo 4,5 milioni di tonnellate. Il resto della produzione lo distribuiremo a panetterie private che producono pane non calmierato».

Negli ultimi mesi l’Egitto, che è il più grande importatore di grano al mondo, ha acquistato enormi quantitativi di grano da Stati Uniti, Francia, Romania. Il dipartimento statunitense dell’Agricoltura ha garantito la solvibilità del Paese – considerata a rischio – nei confronti dei produttori americani.

La «guerra del pane» è la spia più evidente della grave crisi economica di un Egitto ormai al collasso: Secondo un’analisi fatta dal sito libanese Ya Libnan, il valore della sterlina egiziana è diminuito del 10 per cento da gennaio, la disoccupazione è intorno al 20 per cento. La borsa ha perso il 10 per cento in un anno, il turismo si è volatilizzato, i flussi degli investimenti stranieri si sono prosciugati. Le riserve di valuta estera sono sprofondate, molti imprenditori egiziani sono espatriati, temendo di venir accusati di complicità con Mubarak. Il governo sta considerando un certo numero di privatizzazioni. Mentre il prezzo del cibo cresce, la famiglia media spende la metà dei suoi guadagni per sfamarsi.

Il Fondo monetario internazionale ha promesso 4,8 miliardi di dollari e un certo numero di banche straniere ha annunciato investimenti, ma prima il governo deve procedere a delle riforme, modificando l’attuale sistema di sussidi a cibo e benzina che pesa per 20 miliardi di dollari all’anno. Solo i sussidi al diesel pesano per 7,5 miliardi di dollari, e i consumatori pagano 12 centesimi di euro al litro, mentre in molti Paesi europei si paga oltre un euro e mezzo.

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