Parlare della Nakba palestinese agli israeliani, ricordare quella che per il popolo palestinese è considerata la catastrofe del 1948. Questo è il difficile obiettivo dell'organizzazione non governativa israeliana Zochrot, fondata nel 2002 per promuovere le visite ai villaggi palestinesi distrutti nella guerra di metà Novecento.
(Milano) – Parlare della Nakba palestinese agli israeliani, ricordare quella che per il popolo palestinese è considerata la catastrofe del 1948, costruire una memoria alternativa a quella sionista. È questo il difficile obiettivo dell’organizzazione non governativa israeliana Zochrot (vocabolo traducibile con «memoria, rimembranza»), fondata nel 2002. L’associazione, con sede a Gerusalemme, propone una forma di memoria che viene spesso dimenticata e fatta tacere.
Come spiega Norma Musih, un’insegnante di Jaffa, membro di Zochrot, ogni ebreo israeliano, fin dall’infanzia, viene influenzato dalla propaganda sionista e dall’idea che quella di Israele fosse una «terra senza un popolo» per un «popolo senza terra». Pertanto il processo del ricordo, collettivo e non esclusivo, costituisce il primo passo per il riconoscimento della Nakba palestinese, l’espulsione di circa 750 mila palestinesi (circa il 75 per cento della popolazione di allora) a seguito della dichiarazione di indipendenza dello Stato di Israele nel 1948. Rimembrare significa ricostruire un’identità collettiva basata sul riconoscimento della storia e delle tragedie dell’altro, e questo processo non può che costituire le fondamenta per poter costruire una pace giusta ed equa per i due popoli.
La principale attività che Zochrot propone per diffondere una conoscenza ed una consapevolezza collettiva è l’organizzazione di visite per palestinesi ed ebrei israeliani ai villaggi palestinesi distrutti da Israele nel 1948. «Ci sono tracce che nessuno può cancellare e che rimarranno per sempre vive a testimoniare le tragedie del passato» racconta Abdallah, un giovane palestinese di Gerusalemme che ha preso parte a un tour di Zochrot a Lifta, uno dei pochi villaggi palestinesi le cui rovine si sono conservate fino ad oggi. Lifta sorge in una verde vallata, silenziosa e tranquilla, a pochi minuti dalla stazione centrale degli autobus di Gerusalemme Ovest. È sufficiente percorrere un breve sentiero che scende ripido nella valle per scoprire una sorta di mondo parallelo, originale e genuino, lontano dal caos e dal rumore sovrastanti. Nel 1948 le forze sioniste uccisero alcuni residenti e costrinsero alla fuga tutti i 3.000 abitanti del villaggio. Da quel momento ai palestinesi non è più stato permesso tornare a vivere nelle case dei loro nonni e le generazioni successive sono cresciute, da profughi, in Israele, Palestina e Giordania. Oggi nelle rovine delle case ancora intatte vivono alcune famiglie di ebrei israeliani e la suggestiva fonte del villaggio è diventata un luogo sacro per gli ebrei ortodossi.
«I miei nonni vivevano qui, questa era la loro terra» continua Abdallah. «Ogni volta che vengo a visitare Lifta, entro nella casa che sarebbe dovuta essere mia e cerco di immaginare come poteva essere la vita in questo meraviglioso posto: mi affaccio alla finestra, ascolto il cinguettio degli uccelli e il fruscio del vento, contemplo la natura e mi perdo nella bellezza e nel silenzio del luogo».
Amer ha deciso di partecipare al tour di Zochrot perché crede nell’importanza del dialogo, dialogo che può partire solamente dalla conoscenza, dalla memoria, dal riconoscimento dell’altro. «Non ci potrà mai essere né collaborazione né cooperazione con quegli ebrei israeliani che non riconoscono la catastrofe palestinese del 1948», spiega. «Si tratta di una delle questioni più spinose di questo conflitto che dura da quasi 65 anni. E tramite Zochrot ho trovato una via per raccontare a centinaia di ebrei israeliani la mia storia, che è la storia del popolo palestinese» conclude Amer.