L’11 aprile è stata posata a Birzeit la prima pietra di quello che diventerà - se tutto va secondo i piani, entro il 2014 - il più grande museo della Cisgiordania: un luogo della memoria nazionale, dedicato alla storia moderna palestinese e progettato per raccontare l’epopea di chi ancora vive in patria ma anche dei milioni di emigrati.
(Milano/c.g.) – L’11 aprile è stata posata a Birzeit la prima pietra di quello che diventerà – se tutto va secondo i piani, entro il 2014 – il più grande museo della Cisgiordania: un luogo della memoria nazionale, dedicato alla storia moderna palestinese e progettato per raccontare l’epopea di chi ancora vive in patria ma anche dei milioni di altri che sono invece emigrati lontano.
«Questo museo è un grande traguardo per il popolo palestinese – ha dichiarato alla cerimonia di apertura del cantiere Siham Barghouti, ministro della Cultura dell’Autorità Nazionale Palestinese –. Il legame, anche digitale, che riusciremo a creare tra memoria e storia palestinese e tutti i palestinesi ovunque dispersi, costituisce per noi un passo fondamentale».
Al momento sono circa una trentina i musei palestinesi distribuiti in diverse città dei Territori Occupati. Ma nessuno di essi è paragonabile per dimensioni, costi e importanza «strategica» a questo: l’idea sottesa alla nuova struttura, infatti, è quella di un «museo della memoria e dell’identità nazionale», una di quelle istituzioni irrinunciabili, che la Palestina anno dopo anno sta cercando di darsi, per diventare uno Stato a tutti gli effetti.
Il nuovo museo sarà ospitato da un moderno palazzo in pietra e vetro, dal costo complessivo di circa 20 milioni di dollari (poco più di 15 milioni di euro), progettato dal studio irlandese di architettura Heneghan Peng, noto anche per il progetto del Museo Nazionale egiziano. L’edificio sorgerà su un terreno vicino alla città universitaria palestinese di Birzeit, vicino a Ramallah. In una prima fase, che sarà terminata entro il 2014, il museo avrà -oltre agli spazi espositivi -, una caffetteria, una sala conferenze, un negozio e gli uffici amministrativi. Il progetto prevede anche una seconda fase di costruzione, al termine della quale la struttura dovrebbe allargarsi fino a coprire 9 mila metri quadri di superficie. La gestione è stata affidata alla Welfare Association, un’organizzazione palestinese di aiuto e sviluppo supportata da donatori privati, che ha tuttavia stretti legami con l’Autorità palestinese.
Il Museo dovrebbe concentrarsi sugli ultimi due secoli di storia palestinese: dall’Impero Ottomano, passando per il mandato britannico sulla Palestina, fino alla creazione dello Stato d’Israele nel 1948 e la successiva diaspora palestinese. Un altro capitolo sarà quello dei palestinesi all’estero, così come di coloro che vivono nella Striscia di Gaza, nel Cisgiordania (sotto il controllo del governo di Amman, fino al 1967, e poi di Israele), compresi gli ultimi vent’anni di parziale autonomia. «Speriamo che non rimanga solo un edificio storico che conserva reperti archeologici – ha dichiarato il responsabile del progetto, Omar al-Qattan -. Stiamo pensando a un’istituzione che possa attraversare ogni confine, geografico e politico, attraverso avanzati sistemi di network digitale».
«Spero che questo museo possa dare a molti palestinesi l’opportunità di raccontare le loro storie », ha dichiarato Jack Persekian, il neodesignato direttore, esprimendo la speranza che il nuovo ente culturale non parli solo di musulmani e cristiani, ma anche di ebrei che vivevano nella Palestina ad amministrazione britannica prima del 1948. «Ci piacerebbe pensare al museo in modo inclusivo», ha concluso.