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Due nuove testimonianze dalla Siria: Bombardamenti alla cieca

Carlo Giorgi
22 aprile 2013
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Nuove drammatiche testimonianze dalle comunità cristiane in Siria. Sia le notizie che giungono dal convento dei frati minori di Knayeh, nella valle dell'Oronte, sia quelle filtrate dal monastero di Mar Elian, a Qaryatayn, citano i bombardamenti da parte dell'esercito governativo. Mirano ai ribelli, ma non badano all'incolumità della popolazione.


(Milano) – Riportiamo due drammatiche testimonianze giunte alla nostra redazione dalle comunità cristiane in Siria.

Cominciamo con le parole di fra Halim Noujaim, responsabile della Regione San Paolo, che coordina i frati minori della Custodia di Terra Santa dislocati in Libano, Siria e Giordania: «Verso mezzogiorno del 19 aprile, mi ha raggiunto (a Beirut) una telefonata di padre Hanna, del convento di Knayeh, un villaggio della valle dell’Oronte, nella Siria settentrionale. Per la prima volta ho percepito dalla sua voce che era triste e molto agitato. Mi ha raccontato che ieri notte sono caduti altri proiettili di mortaio sul convento e hanno causato molti danni. Tutto il convento è rovinato non ci sono più vetri alle finestre, i tetti sono tutti danneggiati, l’acqua penetra dappertutto, si vive nel terrore. Il governo, nel tentativo di colpire i ribelli asserragliati nel villaggio, bombarda ciecamente dappertutto, non fa distinzioni… Così muoiono tutti indistintamente. Le cose vanno malissimo…».

Pessime notizie arrivano anche dal monastero di Mar Elian, a Qaryatayn, una cittadina 60 chilometri a sud di Homs, dove vivono 35 mila abitanti, cristiani e musulmani. Il priore del monastero, abuna Jacques Mourad, ci ha raccontato che proprio negli ultimi giorni la situazione è precipitata: «Martedì scorso l’esercito ha bombardato la città e adesso, oltre alla povertà e alla fame in città è arrivata anche la distruzione. Ieri, domenica, ci siamo ritrovati in monastero tra gli 800 e i 900 profughi; per fortuna questa mattina molti se ne sono andati, cercando salvezza altrove e ne sono rimasti “solo” 400, metà cristiani, metà musulmani. Elettricità e telefoni vanno ad intermittenza. Per l’acqua, che avevamo praticamente finito, sono arrivate provvidenzialmente due autobotti… La situazione però rimane drammatica perché, in fatto di cibo, abbiamo solo due giorni di autonomia e poi avremo terminato le nostre riserve… Il centro di Qaryatayn adesso è in mano al Libero esercito siriano (gli insorti – ndr), mentre fuori città è l’esercito ufficiale a controllare la situazione con un posto di blocco. In città, le personalità più autorevoli – il muftì, il giudice, io stesso -, cercano di mantenere la pace, di tranquillizzare gli animi, ma non è facile… Quello che manca più di ogni altra cosa è la sicurezza, il cibo e l’acqua ci sarebbero, solo che oggi è troppo pericoloso uscire dal monastero e andarli a cercare. L’unica cosa che chiediamo a tutti ora è la preghiera». La situazione pare ancora tranquilla, invece, nei due villaggi cristiani di Sadad e Hafar, vicino a Qaryatayn.

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