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Percorso a ostacoli per un nuovo governo

Giorgio Bernardelli
1 marzo 2013
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Percorso a ostacoli per un nuovo governo
Da sinistra: Shelly Yachimovich, Yair Lapid e Naftali Bennett ritratti insieme alla seduta inaugurale della nuova Knesset il 5 febbraio scorso. (foto Miriam Alster/Flash90)

A oltre un mese dalle elezioni politiche a che punto siamo con il nuovo governo in Israele? In alto mare. La sera del 2 marzo scadono i 28 giorni entro i quali Benjamin Netanyahu - a cui il presidente Shimon Peres ha affidato l'incarico di formare l'esecutivo – avrebbe dovuto presentare la lista dei ministri. Ma è dato per scontato che il premier uscente possa ricevere una proroga di altre due settimane. Basteranno a sbrogliare la matassa e a formare una coalizione salda?


A più di un mese ormai dalle elezioni politiche a che punto siamo con il nuovo governo in Israele? La risposta è molto semplice: siamo in alto mare. Al tramonto dello shabbat del 2 marzo scadono infatti i 28 giorni entro i quali Benjamin Netanyahu – a cui il presidente Shimon Peres ha affidato l’incarico di formare l’esecutivo – avrebbe dovuto presentare la lista dei ministri. Ma è dato per scontato che, come la legge consente, il premier uscente riceva una proroga di altre due settimane. Se però anche entro questo tempo non dovesse aver raggiunta la quadratura del cerchio, Peres dovrà o affidare a qualcun altro l’incarico o indire nuove elezioni.

Fino ad ora Netanyahu è riuscito a stringere un solo accordo: quello con il partito di Tzipi Livni Hatnuah: con i suoi 6 seggi sommati ai 31 del Likud Netanyahu può contare su 37 seggi, decisamente pochi rispetto ai 120 della Knesset. Ha invece già incassato un no su tutta la linea da Shally Yachimovich, la leader dei laburisti (che nel nuovo parlamento hanno 15 seggi). Tra l’altro ad Hatnuah Netanyahu ha già concesso parecchio, promettendo a Tzipi Livni il cruciale ministero della Giustizia e un ruolo importante nel processo di pace che la Casa Bianca preme per riaprire. In più a un altro esponente di Hatnuah dovrebbe andare anche la guida della commissione Edilizia della Knesset, ruolo chiave sulla questione degli insediamenti. Sono mosse che sembrerebbero incompatibili con la presenza al governo di Habayit Hayehudi, il partito di Naftali Bennett (12 seggi), espressione della destra dei coloni. Sembra di capire, dunque, che Netanyahu puntava a un governo centrista con il nuovo partito Yesh Atid di Yair Lapid (19 seggi) e i partiti degli haredim (entrambi o anche solo lo Shas a quel punto). Solo che parrebbe essergli andata male.

Naftali Bennett per il momento si è infatti rivelato molto più scaltro di lui: come spiega bene l’analisi che rilanciamo sotto (tratta da un sito particolarmente attendibile sull’argomento come Arutz Sheva) mentre Netanyahu trattava con la Livni, Bennett ha lavorato per costruire un asse con Yair Lapid. Gli ha offerto ciò che all’ex mezzobusto televisivo interessa di più e che invece il governo che si andava profilando non gli poteva dare: la famosa riforma della legge sull’esenzione dal servizio militare per gli ebrei religiosi. Non è arrivato fino alla cancellazione, ma a un ridimensionamento radicale sì. In cambio di una posizione molto soft da parte di Yesh Atid sulla questione degli insediamenti. A questo punto si è formato un asse di 31 deputati alla Knesset senza il quale è impossibile per Netanyahu formare un governo. Quindi o il leader del Likud nei prossimi quindici giorni riesce a spezzare questa alleanza, oppure deve fare retromarcia con Tzipi Livni.

Sullo sfondo di questa situazione estremamente ingarbugliata si colloca l’annunciata visita di Barack Obama a Gerusalemme, che dovrebbe svolgersi dal 20 al 22 marzo. Visita dal programma impegnativo: oltre agli incontri con Peres, Netanyahu e Mahmoud Abbas (presidente dell’Autorità Palestinese) e alle tappe irrinunciabili come Yad Vashem e le tombe di Hertzl e Rabin, nel pomeriggio di giovedì 21 è annunciato un discorso pubblico che Obama dovrebbe tenere a Gerusalemme in uno spazio in grado di ospitare almeno 1.000 persone. Un appuntamento che fa pensare a qualcosa di più rispetto alle parole di circostanza di un presidente americano in visita in Israele. Specie se si considera che è all’inizio del secondo mandato. Il problema, però, è che negli ultimi giorni è tornato tutto in forse, perché è impensabile un viaggio del genere senza un governo israeliano in carica. Così adesso anche Obama dovrà fare i conti con il 16 marzo, la data in cui sapremo se e quale governo Netanyahu sarà riuscito a formare.

Clicca qui per leggere l’analisi di Arutz Sheva sull’asse Bennett e Lapid

Clicca qui per leggere sul sito di Yediot Ahronot il programma della visita di Obama

Clicca qui per leggere l’articolo di Times of Israel sul possibile rinvio della visita di Obama

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