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Gerusalemme, così parlò Obama

Giorgio Bernardelli
22 marzo 2013
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Gerusalemme, così parlò Obama
Il presidente Usa Barack Obama durante il discorso pronunciato a Gerusalemme il 21 marzo 2013. (foto Yonatan Sindel/Flash90)

Era il momento più atteso del viaggio del presidente degli Stati Uniti Barack Obama in Israele e Palestina: il discorso di ieri a Gerusalemme davanti ai giovani universitari israeliani. Un evento fortemente voluto dalla Casa Bianca come una sorta di «seconda puntata» del discorso del Cairo del 2009. Come è andata? E quali sono i commenti del giorno dopo?


Era il momento più atteso del viaggio di Obama in Israele e Palestina: il discorso di ieri a Gerusalemme davanti ai giovani universitari israeliani. Un evento fortemente voluto dalla Casa Bianca come una sorta di «seconda puntata» del discorso del Cairo nel 2009. Come è andata? E quali sono i commenti del giorno dopo?

Barack Obama ha sfoderato un discorso dei suoi, molto più ispirato rispetto alle parole pronunciate in queste ore durante gli incontri ufficiali, tutte misurate con il bilancino degli equilibrismi della politica americana in Medio Oriente. Il presidente stavolta invece ha parlato chiaro, rivolgendosi direttamente alla gente e utilizzando anche parole scomode sul tema della giustizia nei confronti dei palestinesi e dell’insostenibilità dell’occupazione israeliana. Mai un inquilino della Casa Bianca aveva detto queste cose in un modo così netto a Israele. Ma il dubbio resta comunque forte: basta un discorso ispirato per far compiere passi avanti concreti alla pace in Medio Oriente?

Gli osservatori – anche quelli da sempre più benevoli nei confronti di Obama – oggi sono divisi. Da una parte ci sono i possibilisti, riassunti bene dall’articoli di Foreign Policy che rilanciamo qui sotto. Parla di «crowdsourcing peace». La tesi è appunto quella del presidente che scavalca il premier Benjamin Netanyahu per rivolgersi direttamente alla gente di Israele dicendo: «I leader politici non si prenderanno dei rischi in favore della pace se non siete voi a chiederglielo». Il cambio di strategia di Obama sulla questione Medio Oriente è evidente: dopo il fallimento nella prima parte del suo primo mandato, non ha riproposto esplicitamente una misura come il blocco dei nuovi insediamenti. Il viaggio in Israele è servito piuttosto ad altro: ad accreditarsi come l’amico che – proprio perché amico – ti può dire cose scomode. Ma l’impressione è che questi tre giorni siano solo un inizio. Perché il piano di pace che in questi giorni non si è visto, potrebbe portarlo molto presto qualcun altro: già sabato il segretario di Stato John Kerry sarà di nuovo a Gerusalemme. E da quanto pare di capire ricomincerà a fare la spola in Medio Oriente. Dunque – sempre secondo gli ottimisti – il discorso di ieri sarebbe servito a rafforzare le posizioni nell’opinione pubblica israeliana in vista dei nuovi attriti che – con un governo israeliano più vicino che mai alle istanze dei coloni – sarebbero già dietro l’angolo.

Non tutti però la pensano così. C’è anche chi oggi punta l’attenzione su quanto – anche nel discorso di ieri – Obama ha concesso a Netanyahu. È il caso ad esempio dell’articolo di Noam Sheifaz che proponiamo qui sotto. Un punto su tutti è effettivamente rilevante: il riconoscimento di Israele come Stato ebraico. Anche queste sono parole con cui d’ora in avanti qualsiasi amministrazione americana dovrà fare i conti. Alla fine – sostengono i critici – quello pronunciato ieri è il tipico discorso all’interno del quale ciascuno ha il suo passaggio a cui aggrapparsi per andare avanti a comportarsi come ha sempre fatto. E quindi non c’è da aspettarsi nessuna novità.

Vedremo nell’arco di qualche mese quale tra le due scuole di pensiero avrà avuto ragione. Intanto però ieri un dato di fatto è apparso chiaro: il discorso di Obama sarebbe stato perfetto per un leader del partito Laburista israeliano. Quel leader forte e capace di parlare al cuore di Israele che – dalla morte di Rabin – non hanno più avuto il coraggio di cercare.

Clicca qui per leggere il testo integrale del discorso di Obama

Clicca qui per leggere il commento di Foreign Policy

Clicca qui per leggere il commento di Noam Sheifaz sul blog +972

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