In Egitto il violento, continuo stato di agitazione del Paese (che dura da più di due anni), ha messo in evidenza l’incapacità di gestire l’ordine pubblico da parte delle forze dell’ordine, da una parte loro stesse violente e poco amate dalla gente, dall’altra inadeguate ad affrontare una simile rivolta.
(Milano/c.g.) – Domenica 17 marzo, nel villaggio di Mahla Zeyad, due uomini sono stati brutalmente linciati e appesi per i piedi dalla folla inferocita che li aveva sorpresi a rubare. La polizia non è arrivata in tempo per salvarli, essendo rimasta bloccata nel traffico paralizzato da una manifestazione contro l’aumento del prezzo della benzina.
Questo episodio, per quanto estremo, è la spia di ciò che sta capitando oggi in Egitto: il violento, continuo stato di agitazione del Paese (che dura da più di due anni), ha messo in evidenza l’incapacità di gestire l’ordine pubblico da parte delle forze dell’ordine, da una parte loro stesse violente e poco amate dalla gente, dall’altra inadeguate ad affrontare una simile rivolta.
Di fronte alla conclamata mancanza di protezione, aumentano pericolosamente gli episodi (e il desiderio) di giustizia sommaria. Fenomeno gravissimo, che può portare il Paese a uno stato di anarchia. E all’affermazione violenta di qualche potere forte, magari di tipo militare.
Ad aggravare la situazione c’è il fatto che, nelle ultime due settimane, almeno 60 stazioni di polizia e 10 centrali delle forze di sicurezza hanno preso parte a scioperi a catena, per protestare delle condizioni in cui da mesi gli agenti sono costretti a lavorare. Lo sciopero della polizia è iniziato proprio nel mezzo della sanguinosa rivolta di Port Said, il 6 marzo scorso, quando gli agenti della Centrale di sicurezza di Ismailia si sono rifiutati di schierarsi a Port Said per dare il cambio ai propri colleghi, esasperati da giorni di violente proteste e di scontri, che avevano lasciato sul campo 5 morti e centinaia di feriti.
Gli scioperi, pur avendo coinvolto «solo» 8 mila dei 300 mila agenti egiziani, sono stati i primi dal 1986 e hanno suscitato scalpore nell’opinione pubblica. Forse allarmato dalla situazione, il procuratore generale del Cairo, Abdel-Meguid Mahmoud, ha dichiarato che «i pubblici ufficiali possono esercitare il diritto concesso loro dall’articolo 37 del codice di procedura penale egiziano, ovvero arrestare chiunque fosse trovato in flagranza di reato, consegnandolo alle forze dell’ordine». Dichiarazione che, nella confusione egiziana, ha aperto la strada alla formazione di milizie popolari; occasione colta al volo da alcuni partiti musulmani.
Così già la scorsa settimana il movimento Jama’a al-Islamiya e i Fratelli Musulmani avevano annunciato di lavorare alla formazione di milizie con funzioni di polizia assieme ad altri gruppi islamici. Ahmed al-Iskandarani, portavoce del partito Costruzione e sviluppo della Jama’a al-Islamiya, ha spiegato che comunque le milizie non svolgerebbero alcuna attività nel caso in cui la polizia venisse schierata nelle strade. Ma che, se dovesse continuare a scioperare o a ritirarsi in occasione di manifestazioni, questi «cittadini dell’ordine» dovrebbero farsi avanti, sotto la supervisione del ministero dell’Interno. «Il sistema – ha spiegato al-Iskandarani – è già applicato in altri Paesi». «I movimenti islamici sono in grado di rimpiazzare la polizia – ha dichiarato Yehia al-Sherbini, coordinatore del Movimento dei ribelli musulmani -: possiamo arrestare i fuorilegge e portarli alla polizia e all’esercito. Abbiamo già iniziato ad organizzarci ad Assiut e Minya»
Sempre Jama’a al Islamiya ha lanciato un appello a tutti i partiti politici, per formare insieme comitati popolari. Secondo il movimento, in assenza della polizia in ogni caso non dovrebbe essere l’esercito a mantenere l’ordine pubblico, poiché un suo intervento potrebbe far precipitare il Paese in una situazione simile a quella siriana e libica.
Ovviamente l’esercito egiziano la pensa in modo diverso. Il quotidiano al Ahram, pubblica a questo proposito una fonte anonima dell’esercito secondo cui la formazione di «milizie private» potrebbe portare allo spettro della guerra civile: «Le forze armate non accetteranno nulla che possa mettere in pericolo la sicurezza nazionale. L’esercito non supporta alcuna forza politica, ma questa posizione non può giustificare nessun gruppo a formare delle milizie». La fonte anonima ha concluso che un simile passo «potrebbe portare l’esercito ad intervenire».