Il 22 marzo ricorre la Giornata mondiale dell’acqua. Il tema dell’accesso alle risorse idriche è sicuramente uno dei più importanti nel panorama del contrasto alla povertà nel mondo. Nel contesto tribolato del Medio Oriente, in più, la gestione delle risorse idriche e l’accesso all’acqua sono una delle possibili cause di conflitto. Tra gli scenari più sensibili, il controllo delle acque dell’Eufrate, che interessa Iraq, Siria e Turchia. Nella stessa area, chiamata la «Mezzaluna fertile», il controllo del fiume Shatt al Arab, in cui confluiscono il Tigri e l’Eufrate e che delimita l’estrema frontiera meridionale tra l’Iraq e l’Iran, è constante motivo di tensioni. Più a sud, tra Egitto, Sudan ed Etiopia, la gestione delle acque del Nilo offre perenni motivi di attrito.
Il controllo delle falde acquifere della Cisgiordania, da cui Israele per decenni ha attinto l’80 per cento del proprio fabbisogno idrico, è certamente un grave ostacolo alla pace, ma condiziona nei fatti la vita soprattutto del popolo palestinese, che si trova spesso defraudato di un bene necessario alla sopravvivenza di intere comunità.
Da Betlemme a Gaza, passando per Gerusalemme Est e la Valle del Giordano, appare chiaro come ogni possibilità di sviluppo e di futuro, passi attraverso una gestione condivisa delle risorse idriche e dell’accesso all’acqua.
Proprio per approfondire questo aspetto, abbiamo voluto gettare uno sguardo sulla gestione delle risorse idriche in Cisgiordania e su come, putroppo, un bene primario come quello dell’acqua sia entrato a pieno titolo nel conflitto che oppone Israele e Palestina. E a pagarne le conseguenze più gravi, tocca tristemente ai più deboli e agli indifesi. (g.c.)
(Questo testo è l’Introduzione al Dossier di 16 pagine del bimestrale Terrasanta su carta)