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Sant’Elena e la Vera Croce a Roma, 1.700 anni di storia

Manuela Borraccino
5 febbraio 2013
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Per secoli ha rappresentato uno dei luoghi più ricchi di memorie della fede cristiana a Roma. La storia, le scoperte, i misteri e le ipotesi sulle reliquie conservate nella basilica eleniana di Santa Croce in Gerusalemme sono al centro di un volume che fa il punto sui tesori di fede e d’arte racchiusi in una delle più antiche basiliche patriarcali romane.


Il volume curato da Roberto Cassanelli ed Emilia Stolfi – Gerusalemme a Roma. La basilica di Santa Croce e le reliquie della Passione – ricostruisce con estremo rigore scientifico, grazie ai contributi di 18 esperti delle varie discipline, le stratificazioni storiche di un complesso architettonico di straordinario fascino e interesse.

La costruzione della basilica conosciuta fin dal sesto secolo come contenente il lignum Sanctae Crucis affonda le radici nel viaggio che Elena, madre dell’imperatore Costantino, intraprese nel 327-328 in Palestina due anni dopo il concilio di Nicea e all’indomani dell’immane tragedia che aveva colpito la famiglia costantiniana: nel 326 l’imperatore aveva fatto uccidere il primogenito Crispo, il nipote Liciniano e la seconda moglie Fausta, per un presunto tentativo di incesto poi rivelatosi un’accusa infondata. Costantino, che non aveva mai amato Roma, in seguito ai delitti si allontanò definitivamente dalla capitale per dedicarsi alla fondazione di Costantinopoli e delegò il ruolo imperiale alla madre Elena, elevata nel 324 al rango di Augusta.

Forse per dimenticare i lutti, forse animata dalla devozione a Cristo, forse per dare un valore costitutivo e fondativo alle forme della devozione cristiana, l’anziana imperatrice intraprese il primo pellegrinaggio sui Luoghi Santi, la cui memoria era stata cancellata dalla distruzione e ricostruzione decisa dall’imperatore Adriano.

Fu durante gli scavi che a Gerusalemme portarono all’individuazione del Santo Sepolcro oppure durante la visita al cantiere del complesso della basilica (Anastasis) voluta dal figlio Costantino che, secondo leggende non prive di caratteristiche prima anti-pagane e poi anti-giudaiche, vennero rinvenute la «Vera Croce» e altre reliquie della Passione di Cristo. La chiesa costruita all’interno della residenza romana di Elena ha avuto un ruolo di primaria importanza nella storia della Chiesa perché è qui che, secondo la tradizione, l’imperatrice portò il Titulus Crucis, un chiodo della Croce, una parte della corona di spine e il braccio trasversale della croce di Disma, il buon ladrone.

Il volume curato da Cassanelli e Stolfi lascia così intravvedere come sia avvenuto lo spostamento dell’asse georeligioso dalla Palestina alla capitale dell’Impero: quando, nel 313, Costantino proclamò per il cristianesimo libertà di culto, la Chiesa si trovò costretta a rivedere tutto il suo atteggiamento verso l’arte. I luoghi di culto non potevano più essere piccoli e poco appariscenti come era stato durante le persecuzioni, né essere edificati sulla falsariga dei templi antichi. Così le chiese vennero costruite sullo schema di certe grandi sale note nel periodo classico con il nome di «basiliche», cioè «sale regie» che erano state adibite in passato a mercati coperti o tribunali.

La madre dell’imperatore Costantino, che deve la sua fama ininterrotta fino ai giorni nostri proprio al ritrovamento della Croce e alla custodia delle reliquie portate a Roma e offerte alla venerazione dei fedeli, fece edificare una simile basilica per adibirla a chiesa, e da allora il termine si applicò a tutte le costruzioni del genere. È in un passo della vita di papa Silvestro, il Liber pontificalis redatto nel Sesto secolo, che si fa menzione dell’esistenza a Roma di una chiesa chiamata Hierusalem e di un reliquiario nel complesso del palatium Sessorianum che all’inizio del Quarto secolo ospitava la famiglia costantiniana: «Costantino Augusto – si legge – fece costruire una basilica nel palazzo Sessoriano: all’interno del palazzo collocò pezzi della Croce in un reliquiario ricoperto d’oro e di gemme; sempre al suo interno vi volle una chiesa che chiamò Gerusalemme, dedicazione che mantiene tuttora».

Di estremo interesse, nel volume che presentiamo, risultano i saggi di Maria Luisa Rigato sull’autenticità del Titulus Crucis, di Mario Sensi sulle reliquie e sul carattere impresso dai Cistercensi dalla metà del 500 al complesso, e di Vitaliano Tiberia sull’importanza storica e iconografica del grande affresco con le storie della Vera Croce nel catino absidale attribuito ad Antoniozzo Romano e soci.

Ciascuno studioso, pur affrontando gli stessi temi, li tratta da angolazioni diverse e gettando luci su differenti aspetti dei tre principali filoni di indagine presi in esame dai curatori: il nodo della fondazione e la committenza imperiale, la storia edilizia, le reliquie protagoniste della fama dell’edificio. Il testo curato da Roberto Cassanelli ed Emilia Stolfi riempie una lacuna nella ricerca storica e archeologica del complesso sessoriano e costituisce un nuovo punto di partenza per storici e archeologi che vorranno continuare ad esplorare i luoghi dove sono state custodite per secoli quelle che vengono ritenute, insieme alla Sindone, tre le più importanti reliquie della cristianità.

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