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Nozze civili, in Libano è dibattito serrato

Carlo Giorgi
7 febbraio 2013
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La questione del matrimonio civile, fino ad oggi non contemplato dalla legislazione nazionale, è alla ribalta in Libano. Ieri nel dibattito è intervenuto anche il Consiglio episcopale maronita per il quale accanto al matrimonio religioso può essere ammesso anche quello civile. Assolutamente contrari, invece, i religiosi musulmani.


(Milano) – La questione del matrimonio civile, fino ad oggi non contemplato dalla legislazione nazionale, è alla ribalta in Libano. Nel dibattito è intervenuto anche il Consiglio episcopale maronita. Ieri, nel suo incontro mensile, ha dichiarato che accanto al matrimonio religioso può essere ammesso anche quello civile. L’affermazione, che potrebbe sembrare scontata al lettore occidentale, non lo è affatto per il Libano – come per la maggior parte dei Paesi mediorientali – dove non esiste la possibilità di sposarsi se non con rito religioso. Il problema è sentito. Basti pensare che – come riferisce l’ambasciatore del Libano a Cipro, Homer Mavrommatis – ogni anno circa 700 coppie libanesi si recano nella vicina isola per contrarre legalmente un matrimonio senza vincoli religiosi.

«Il matrimonio è uno dei sacramenti della Chiesa e il matrimonio civile non può sostituire un sacramento – hanno spiegato i vescovi nel corso della loro riunione -. Tuttavia, coloro che si sposano civilmente, se sono credenti, possono contrarre anche un matrimonio religioso, così da poter accedere agli altri sacramenti della Chiesa».

Il confronto pubblico sul matrimonio civile in Libano è esploso a metà gennaio quando è stata diffusa la notizia del primo matrimonio civile provocatoriamente celebrato lo scorso novembre da una coppia di origini musulmane, Kholoud Succariyeh e Nidal Darwish. Kholoud e Nidal, per potersi sposare, hanno utilizzato uno stratagemma giuridico: sui documenti d’identità libanese compare sempre il gruppo religioso di appartenenza; questo vincola – secondo le leggi attuali – i cittadini a sposarsi secondo il rito previsto dalla propria religione. Kholoud e Nidal hanno così scelto di cancellare dal proprio documento la menzione relativa alla loro appartenenza religiosa. In questo modo, non facendo parte ufficialmente di nessun gruppo religioso e appellandosi ad un vecchio decreto del 1936 che garantisce anche per le minoranze il diritto a sposarsi, hanno celebrato il proprio matrimonio «legalmente», creando un precedente giuridico con il quale la società civile libanese deve ora fare i conti.

Il primo a inserirsi nel dibattito suscitato dal gesto di Kholoud e Nidal è stato il presidente Michael Sleiman che, domenica 20 gennaio, si è pubblicamente espresso a favore di una legge che permetta i matrimoni civili. Il capo dello Stato sostiene che ciò potrebbe aiutare a costruire unità nel panorama multi religioso del Paese. «Dobbiamo lavorare per costruire una bozza di legge per i matrimoni civili. È un passo molto importante per sradicare il settarismo e rendere lo Stato più solido», ha scritto il presidente sulla sua pagina Facebook. A sole quattro ore dal momento della pubblicazione, il suo post aveva guadagnato 1.700 «mi piace», oltre a numerosissimi commenti, la maggior parte favorevoli.

Anche la componente musulmana della società si è espressa inequivocabilmente sulla questione: Mohammed Rachid Qabbani, il mufti della repubblica libanese, massima autorità sunnita del Paese, ha indetto una conferenza stampa lunedì 28 gennaio per comunicare di aver pronunciato una fatwa contro i matrimoni civili. Ha dichiarato, cioè, colpevoli di apostasia quelle coppie musulmane che si sposeranno con rito civile. Di fronte alla domanda di un reporter del quotidiano Al Akhbar, se questa fatwa giustifichi l’uccisione degli apostati, il muftì ha risposto: «La fatwa è semplice e chiara», aggiungendo che «ogni pubblico ufficiale musulmano, deputato o ministro, che appoggi la legalizzazione del matrimonio civile, è un apostata, fuori dalla fede islamica».

Anche le gerarchie sciite non sembrano appoggiare il matrimonio civile. Sheikh Shafiq Jradi, responsabile dell’Istituto sciita della Conoscenza giudiziosa, ha spiegato che il matrimonio civile è contro la sharia. «Il fatto è che coloro che decidono di sposarsi con rito civile, in un matrimonio non religioso, stanno scegliendo di sottoporsi a una autorità non religiosa. Questo fatto non ha bisogno di commenti». D’altra parte secondo Jradi, «per questo tema non pare il caso parlare di apostasia; c’è una bella differenza tra il semplice peccatore e l’apostata. Le parole della fatwa che ho sentito mi hanno fatto rabbrividire».

Sul versante opposto, lunedì 4 febbraio nella piazza dei martiri di Beirut, sotto imponenti misure di sicurezza, si è svolta una manifestazione a favore dei matrimoni civili. I manifestanti portavano cartelli con le scritte «Matrimoni civili e non guerra civile», «Verso un paese civile e democratico che rispetti i diritti civili» .

Roger Bajjani, uno degli oratori, ha invitato i religiosi ad «occuparsi solo di affari religiosi e di smetterla di voler controllare le questioni private e le scelte personali della gente».

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