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L’«ortodossa» che divide, una nuova proposta di legge elettorale per il Libano

Carlo Giorgi
21 febbraio 2013
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L’«ortodossa» che divide, una nuova proposta di legge elettorale per il Libano
L'aula del Parlamento libanese.

A Beirut - dopo mesi di polemiche, discussioni e tentativi di mediazione - la Commissione parlamentare incaricata ha approvato la proposta di una nuova legge elettorale, la cosiddetta «legge ortodossa», da applicare alle prossime elezioni del 9 giugno. La palla passa ora all'assemblea parlamentare. Contro il testo insorgono ampie fasce della società.


(Milano/c.g.) – A Beirut – dopo mesi di polemiche, discussioni e tentativi di mediazione – la Commissione parlamentare incaricata ha approvato la proposta di una nuova legge elettorale, la cosiddetta «legge ortodossa» (così battezzata per via del suo firmatario, il deputato cristiano ortodosso Élie Ferzli), da applicare alle prossime elezioni del 9 giugno.

La proposta – che andrà all’esame del Parlamento – stravolge completamente il sistema  elettorale in vigore, basato su 26 circoscrizioni in cui si eleggono 128 parlamentari con sistema maggioritario. La legge «ortodossa» innanzitutto unifica l’intero Libano in un’unica gigantesca circoscrizione nazionale, introducendo un sistema di rappresentanza proporzionale. Ma ciò che ha indotto molti alle più vibranti proteste è la visione «settaria» che la caratterizza: secondo il testo, infatti, ciascun elettore sarebbe obbligato a scegliere i propri rappresentanti in liste «blindate» per appartenenza religiosa. I cristiani potranno votare, cioè, solo per candidati cristiani, i sunniti solo per sunniti e così via. In questo modo verrebbero eletti 128 parlamentari (64 cristiani e 64 musulmani), secondo un equilibrio voluto del 50 per cento per parte. Infine, la nuova legge aumenta il numero dei parlamentari, aggiungendo sei nuovi deputati così suddivisi: uno siriaco cattolico, uno siriaco ortodosso, uno greco cattolico, uno sciita, uno sunnita e uno druso.

Tra le voci più autorevoli che si sono subito levate contro la proposta «ortodossa» spicca quella del presidente della Repubblica, il cristiano Michel Sleiman secondo il quale andrebbe evitato «qualsiasi disegno di legge che ribadisca divisioni confessionali o di appartenenza religiosa, poiché queste sono, da un lato, contro la Costituzione e, dall’altro, minacciano la pace civile. Questo tema non è più accettabile per la maggioranza dei libanesi – ha ribadito Sleiman – che aspirano a giustizia, libertà ed uguaglianza e sono impegnati per una democrazia che abbia le elezioni come pietra angolare».

D’altra parte la proposta «ortodossa» – per quanto risulti forse incomprensibile ad uno sguardo occidentale – è figlia del Libano di oggi e delle sue paure. Una piccola nazione di 4 milioni di abitanti dove brucia ancora la memoria delle distruzioni e del sangue versato tra cristiani e musulmani sciiti e sunniti nei quindici anni di guerra civile (1975-1990) e dove le divisioni e le diffidenze tra le comunità religiose sono ancora marcate. Inoltre il Libano, negli ultimi cinquant’anni, ha visto diminuire enormemente la presenza della comunità cristiana che oggi non supera il 30 per cento dei residenti e, in fondo, teme di perdere libertà e peso a causa della crescita della controparte musulmana.

Non sorprende quindi che il testo approvato dalla Commissione parlamentare nasca proprio su iniziativa della Chiesa maronita che da tempo sollecita i partiti cristiani a definire una proposta comune di legge elettorale: il testo «ortodosso», negli scorsi mesi, ha così ottenuto il consenso dei quattro maggiori partiti cristiani (il Partito falangista o Kataeb, il Movimento patriottico libero di Michel Aoun, la Forza Libanese e il Movimento Marada). Inoltre, lo stesso testo ha ottenuto anche il sostegno degli Hezbollah, il forte movimento sciita oggi al governo. Contro la proposta, invece, si sono via via schierati il Movimento Futuro dell’ex primo ministro sunnita Saad Hariri, oggi all’opposizione, i Progressisti socialisti di Walid Jumblat, ma anche il primo ministro, il sunnita Najib Mikati, oltre a molti cristiani indipendenti. Tutti convinti che un simile approccio alimenti la divisione settaria nel Paese.

Martedì scorso, giorno dell’approvazione della proposta di legge da parte della commissione parlamentare, una piccola folla di persone, soprattutto esponenti dei movimenti laici, si è radunata di fronte al Parlamento per protestare. «Quando si parla di minoranze perseguitate in Medio Oriente di solito si parla di cristiani – scrive su questo tema Beirut Spring, uno dei blog più accreditati tra i giovani laici libanesi –. C’è l’idea che in Libano la maggioranza musulmana non riuscirebbe a vivere con la minoranza cristiana se non trattandola come cittadinanza di seconda classe. Questa è una preoccupazione valida, ma non rende merito alle ragioni di un’altra minoranza ugualmente perseguitata (…). Mi riferisco ai laici, agli atei e agli agnostici, alle persone che semplicemente non amano essere definite rispetto al proprio credo religioso. Imporre una divisione “settaria” ai laici e agli atei è come imporre la legge islamica ai cristiani».

La proposta «ortodossa» non potrà entrare in vigore senza l’approvazione del Parlamento. Il cui presidente, Nabih Berri, avrebbe deciso di non mettere il tema all’ordine del giorno per le prossime due o tre settimane, così da permettere ai deputati di trovare un accordo di mediazione prima del voto. Il capo dello Stato, dal canto suo, ha già dichiarato che, se venisse approvata, sottoporrà la legge, che egli reputa illegittima, al giudizio della Corte costituzionale. Se non si dovesse trovare un’intesa prima di giugno le elezioni potrebbero anche essere posticipate.

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