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Le maniere forti della polizia egiziana

Carlo Giorgi
6 febbraio 2013
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Le maniere forti della polizia egiziana
Il primo ministro egiziano Hisham Qandil.

Presto uno «Stato di polizia» nell’Egitto governato dai Fratelli Musulmani? Secondo il quotidiano egiziano Al Ahram, il primo ministro Hisham Qandil domenica 10 febbraio dovrebbe presentare alla Camera alta del Parlamento una proposta di legge che limita fortemente il «diritto di manifestazione». E si moltiplicano le notizie di abusi da parte della polizia.


(Milano) – Presto uno «Stato di polizia» nell’Egitto governato dai Fratelli Musulmani? Secondo il quotidiano egiziano Al Ahram, il primo ministro Hisham Qandil domenica 10 febbraio dovrebbe presentare al Consiglio della Shura (la Camera alta del Parlamento), una proposta di legge che limita fortemente il «diritto di manifestazione»: la nuova normativa – appoggiata dalla Coalizione delle forze islamiche (che comprende 13 partiti e movimenti, dai Fratelli Musulmani ai salafiti) a avversata dall’opposizione – darebbe alla polizia l’autorità di usare la forza per interrompere e disperdere le manifestazioni ritenute sediziose o non autorizzate, in particolare se vicino a luoghi di potere come il palazzo presidenziale. Inoltre introdurrebbe la richiesta di autorizzazione per lo svolgimento delle manifestazioni. E ai manifestanti sarebbe proibito scandire slogan che abbiano al loro interno i «principi di sedizione» o indossare cappucci che coprano il volto.

Il dibattito sulla nuova legge «d’emergenza» arriva in un momento di grave crisi del sistema democratico egiziano: gli scontri tra gli oppositori del presidente Mohamed Morsi e le forze di sicurezza, incominciati il 25 gennaio scorso (secondo anniversario della rivoluzione), hanno causato in pochi giorni la morte violenta di circa 60 manifestanti, oltre ad una situazione di spaventoso caos in molte città egiziane. Per evitare altro sangue, il presidente è giunto ad imporre lo stato di emergenza in tre governatorati della regione di Suez e la Shura ha già varato una legge d’emergenza, che consente alle forze armate di affiancare la polizia nella gestione dell’ordine pubblico per proteggere tutte le «installazioni vitali (…) fino a quando il Consiglio nazionale di Difesa, presieduto da Morsi, lo richiederà».

Di fronte a una tale ondata di violenza, anche la società civile si è mossa: tutti i leader politici egiziani – dagli islamisti più radicali ai politici copti e liberali – hanno accettato l’invito del gran muftì della moschea Al Ahzar, Ahmed Al Tayyeb, la più influente autorità religiosa musulmana del Paese, e hanno sottoscritto il 29 gennaio scorso, un comune documento di intenti: «Il dialogo nazionale, a cui partecipano tutti gli elementi della società egiziana, senza esclusioni, è l’unico modo per risolvere i problemi o le differenze – recita il testo –. Le violenze e lo spargimento di sangue sono proibiti. Il lavoro politico non ha niente a che fare con la violenza e il sabotaggio e il bene comune e il futuro della nostra nazione dipendono dal rispetto della legge».

D’altra parte, non sono pochi coloro che temono che l’approvazione di leggi speciali garantisca un potere eccessivo alle forze di polizia; potere di cui gli uomini in divisa, anche nella recente storia dell’Egitto, hanno dimostrato pericolosamente di abusare. Dal 25 gennaio scorso, 225 cittadini sono stati arrestati nelle vicinanze di piazza Tahrir. Tra costoro 12 persone, inclusi dei minori, sono state torturate per intere giornate. Secondo un rapporto pubblicato il mese scorso dall’organizzazione cairota Iniziativa per i diritti della persona, da quando Morsi è diventato presidente (giugno 2012) nelle stazioni di polizia egiziane sono state uccise 11 persone e dieci torturate. E lunedì si è svolto il funerale di un attivista politico, Mohamed El-Gendy, morto a causa delle torture. «La polizia usa violenza e tortura in modo non differente dai tempi di Mubarak», conclude il rapporto.

Oltre alle leggi speciali, anche il recente «fastidio» dimostrato dai governanti nei confronti della libera informazione, sembra minacciare la democrazia egiziana: una televisione satellitare egiziana, Al Hayat TV, ha trasmesso in questi giorni alcune immagini che hanno scioccato l’opinione pubblica: un uomo inerme, seminudo, trascinato con la forza e picchiato da un gruppo di militari, nel corso di una manifestazione. Istruttivo, per usare un eufemismo, quanto ha affermato commentando il video il vice-ministro dell’interno, il generale Abdel-Fattah Othman, (noto, tra l’altro, per aver lamentato più volte la mancanza di leggi che diano alla polizia poteri speciali): secondo Othman si sarebbe trattato di un uomo ridotto in quelle condizioni non dalla polizia ma dai manifestanti, che lo avrebbero scambiato per un poliziotto; i poliziotti invece, trovatolo in quelle condizioni, avrebbero voluto nasconderlo, ma lui ha resistito; così avrebbero cercato di portarlo in salvo con la forza. «Nel filmato sembra che i poliziotti lo stiano trascinando – spiega il vice-ministro -. I mezzi di informazione sono un’arma terribile al di fuori del controllo politico e della sicurezza! Siamo pronti ad aprire anche noi un nostro canale televisivo».

Contro l’informazione fatta dalle televisioni, si è schierata anche la Coalizione delle forze islamiche, che ha criticato la diffusione di «materiale sedizioso» fatta da parte di alcuni canali televisivi, biasimando la crescita di «sentimenti anti islamici» nei media locali. «Condanniamo tutte le tivù e i giornali che incitano o giustificano la violenza e il vandalismo. Li reputiamo responsabili dell’attuale crisi e di guidare la controrivoluzione». D’altra parte anche il primo ministro, Hisham Qandil, nella conferenza stampa di lunedì scorso, ha invitato gli egiziani a «spegnere la televisione e andare a lavorare», per il bene del Paese.

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