Per gli standard di un certo mercato "La bicicletta verde" è certamente un film minore. La sua forza sta tutta nella storia che narra, anzi nella finestra che dischiude sulla società saudita che fa da scenario. La protagonista è Wadjda, una ragazzina di dieci anni che vive con la madre in un sobborgo di Riyadh. Per lei i rigidi schemi che il suo Paese ha messo a punto per gli esseri umani di sesso femminile sono del tutto privi di senso e non valgono a mortificare la sua individualità.
Nei circuiti cinematografici italiani ha fatto la sua comparsa ai primi del dicembre scorso, ma certo trovarlo nei multisala era ed è piuttosto improbabile. Per gli standard di un certo mercato La bicicletta verde è certamente un film minore e privo di ritmo. Non può vantare una colonna sonora indimenticabile o una fotografia avvincente. La pellicola si presenta anzi con una veste dimessa. La sua forza sta tutta nella storia che narra, anzi nella finestra che dischiude sulla società saudita che fa da scenario.
La protagonista è Wadjda, una ragazzina di dieci anni che vive con la madre in un sobborgo di Riyadh, la capitale dell’Arabia Saudita. Wadjda è scanzonata e i rigidi schemi che il suo Paese ha messo a punto per gli esseri umani di sesso femminile le stanno stretti. Ama esprimersi liberamente e non rinuncia a misurarsi con il coetaneo Abdullah anche in giochi ritenuti sconvenienti per una ragazza. Niente di illecito o di amorale, s’intende: Wadjda vuole dimostrare ad Abdullah di essere più forte di lui in sella a una bici, anche se lei non ha mai messo i piedi sui pedali né tantomeno possiede un simile mezzo di locomozione. Sulla strada verso la scuola vede in un negozio una luccicante bicicletta verde. Dovrà essere sua. La ragazza ha deciso, del tutto incurante di quello che pensano i grandi. Per procurarsi i soldi necessari, che la madre le nega, Wadjda decide di partecipare a un concorso che la sua scuola – tutta femminile, beninteso – promuove per le allieve più brave nello studio del Corano…
La trama è semplice, ma il pregio della pellicola è che mette in luce le incongruenze di una società bigotta (musulmana in questo caso), che relega le donne in un mondo a parte, dove si deve parlare a voce bassa – perché «la voce della donna è la sua nudità», come ammonisce la preside della scuola -; ci si deve sottrarre agli sguardi, sempre rapaci, dei maschi adulti; non si può nemmeno cavalcare una bicicletta che oltretutto è considerata come una minaccia pericolo per l’integrità fisica di un’adolescente…
Wadjda, nella sua innocente spensieratezza, sfida le convenzioni e osserva il mondo adulto con lo sguardo dei piccoli che, privi di sovrastrutture, sanno riconoscerne a colpo d’occhio le ipocrisie. La sua vicenda si intreccia con quella della madre, che alla fine diventerà sua alleata in un sogno comune di nuova libertà.