Un progetto per formare medici specializzati in tecniche laparoscopiche e mini invasive chirurgiche e ginecologiche a basso costo nei tre maggiori ospedali pubblici della Cisgiordania. Promosso dall'Aispo e terminato il 3 gennaio, ha coinvolto, nell'arco di tre anni, più di duecento medici e operatori sanitari palestinesi.
(Milano) – Un progetto per formare medici specializzati in tecniche laparoscopiche e mini invasive chirurgiche e ginecologiche a basso costo nei tre maggiori ospedali pubblici della Cisgiordania, cioè quelli di Ramallah, Hebron e Nablus.
Promosso dall’Aispo, Associazione italiana per la solidarietà tra i popoli, e terminato il 3 gennaio, il progetto ha coinvolto più di duecento medici e operatori palestinesi che, in tre anni, sono stati formati alle nuove tecniche da numerosi specialisti provenienti da tutta Italia. È stato anche realizzato in Italia e reso disponibile in Palestina un sito web per la formazione a distanza. «L’Organizzazione mondiale della sanità (Oms) dichiara che l’assistenza sanitaria in Palestina, data la scarsità di risorse umane e economiche, non si può sviluppare senza l’aiuto internazionale – spiega Renato Corrado, presidente Aispo –. L’uso della laparoscopia nella realtà palestinese permette di fare diagnosi precise in carenza di Tac e risonanza magnetica di diverse patologie e a costi esigui. In caso di intervento, poi, si ha un abbattimento dei costi grazie a tempi di degenza post-operatoria ridotti e a un minor ricorso ai farmaci perché ci sono meno infezioni post-operatorie».
Tra i medici che hanno aderito al progetto, Giuseppe Faillace, chirurgo dell’ospedale Bassini di Cinisello Balsamo, in provincia di Milano, che, il 27 aprile dello scorso anno, insieme al direttore della Struttura complessa di chirurgia dello stesso ospedale, Mauro Longoni, e alla collega Emilia Masci, chirurgo sempre del Bassini, è partito per l’ospedale di Nablus. Li è rimasto fino al primo maggio, svolgendo interventi di chirurgia laparoscopica e attività di formazione dei colleghi palestinesi. «Anche se il progetto era articolato molto bene, all’inizio eravamo preoccupati per la situazione politica di quella nazione – racconta Faillace -. Devo dire, invece, che siamo stati trattati bene sia dalla popolazione israeliana sia soprattutto da quella palestinese».
Nell’ospedale di Nablus venivano già eseguiti interventi di chirurgia laparoscopica non avanzata, come le colecistectomie. «L’ospedale di Nablus è un eccellente ospedale della Palestina – continua il chirurgo -. Ma abbiamo dovuto istruire il personale medico ad affrontare interventi di chirurgia laparoscopica avanzata, cioè di maggiore difficoltà, che riguardano per esempio l’obesità o l’addome, come le ernie. Le sale operatorie sono sovrapponibili a quelle italiane, con le attrezzature necessarie per i principali interventi chirurgici. Quello che ci ha umanamente toccato è stata la riconoscenza dei pazienti palestinesi nei nostri confronti».
Anche se può sembrare strano, l’obesità è un problema molto serio in Palestina, e già dall’infanzia. La prestigiosa rivista internazionale Lancet ha pubblicato lo scorso ottobre un articolo che evidenzia quanto il sovrappeso e l’obesità rappresentino un allarme tra i bambini palestinesi. «L’obesità può mettere a rischio la vita della persona obesa. È molto più di un problema estetico – precisa Faillace -. E quindi è necessario intervenire. I cambiamenti ambientali, sociali e nelle abitudini alimentari, lo stile di vita più moderno e l’urbanizzazione hanno aumentato la prevalenza di obesità nei Paesi sia sviluppati sia in via di sviluppo. Noi abbiamo operato solo adulti perché siamo specialisti in chirurgia generale e non pediatrica».
Anche in Palestina la laparoscopia può essere eseguita dalla sanità pubblica. «Colpisce molto la determinazione con la quale il Sistema sanitario palestinese si mette a disposizione della popolazione con ospedali che sono in grado di rispondere anche a grandi numeri di richieste di prestazioni mediche e chirurgiche – riferisce il chirurgo -. Certo, per innovazione tecnologica, facilità di accesso e comfort di trattamento, la realtà palestinese non è confrontabile con quella italiana. D’altra parte, la sanità pubblica italiana resta tra le migliori del mondo».
A breve partirà una seconda fase del progetto che si occuperà invece della diagnosi e della terapia delle patologie oncologiche, sempre in Palestina. «Ma continuerà anche la formazione dei medici in tecniche laparoscopiche» sottolinea ancora il presidente Aispo. Lo conferma Faillace: «Proprio in questi giorni ho avuto la bella notizia che probabilmente torneremo in Palestina anche quest’anno. L’obiettivo è anche costruire una scuola universitaria di medicina che sia autonoma, ma affinché ciò si realizzi è fondamentale l’aiuto dei Paesi occidentali».