Contro ogni principio del diritto internazionale, i medici e le strutture sanitarie siriani sono diventati in questi mesi uno dei bersagli della guerra civile in corso. Al Jazeera riferisce che nella città di Hama, ad esempio, non ci sono più ospedali attivi. Non pochi medici hanno cercato riparo all'estero. Ad Amman, alcuni di loro si sono organizzati per offrire assistenza sanitaria ai connazionali fuggiti dalla Siria.
(Milano/c.g.) – Contro ogni principio del diritto internazionale, i medici e le strutture sanitarie siriane sono diventati in questi mesi uno dei bersagli della guerra civile in corso. Un reportage dell’emittente televisiva Al Jazeera dei primi di gennaio riferisce che nella città di Hama, bombardati dall’esercito od occupati dai ribelli, non ci sono più ospedali attivi: i pazienti vengono operati e curati per quanto possibile di nascosto nelle case, con una carenza drammatica di medicinali. Il quotidiano di Amman, The Jordan Times, assieme ai tragici eventi della guerra, riferisce però anche una storia positiva: quella di sei medici siriani fuggiti dal proprio Paese, che hanno creato una laboriosa équipe sanitaria presso l’Ospedale Akilah, nella capitale giordana. Scopo del gruppo, che ha a disposizione 30 letti e gestisce due sale operatorie e tre ambulatori: dedicarsi alla cura gratuita dei profughi siriani che, in Giordania, hanno ormai raggiunto il numero di 300 mila persone. L’équipe, che garantisce cure in sette diverse specialità mediche, è stata fondata lo scorso luglio, negli stessi giorni in cui Physicians for human rights (Medici per i diritti umani), ong internazionale che lotta contro i crimini di massa e gli abusi dei diritti umani, aveva denunciato con preoccupazione la tendenza – comune ad esercito e ribelli in Siria – di colpire e condizionare i medici impegnati nella cura dei feriti.
«Il 22 luglio le forze ribelli hanno attaccato l’ospedale militare di Damasco – spiegava la denuncia -: le forze governative hanno risposto all’attacco sparando ai ribelli dal tetto dell’edificio. Sempre i ribelli hanno attaccato e depredato un ospedale privato nel quartiere periferico Sayyida Zainab di Damasco. Questi incidenti fanno seguito a quindici mesi di attacchi delle forze governative siriano contro istituzioni civili, comprese strutture e servizi medici. Physicians for human rights ha già documentato – spiegava il rapporto – gli attacchi del governo alle strutture sanitarie nazionali fin dall’inizio del conflitto, comprese le negazioni di cure a civili feriti, l’arresto e la tortura di medici e pazienti, gli attacchi e l’uso improprio degli ospedali, costringendo la popolazione a cercare assistenza medica attraverso una rete sotterranea di ospedali improvvisati. Queste azioni violano il diritto internazionale – continuava il comunicato – e coloro che ordinano attacchi a strutture mediche, così come coloro che non li impediscono, possono essere accusati di crimini di guerra».
Dal momento in cui è stata creata, l’équipe dell’ospedale Akilah ha curato gratuitamente 5 mila pazienti. Un lavoro che è stato possibile grazie a fondi offerti dal Syrian Relief and Development, ong americana nata nel 2011 per fare fronte alla crisi siriana. Uno dei medici che fanno parte dello staff, si chiama Seri Bakkar ed in patria è stato anche arrestato poiché sorpreso a curare pazienti non ufficialmente registrati all’Ospedale universitario chirurgico cardiovascolare di Damasco, dove lavorava. Il dottor Bakkar è stato rilasciato solo dopo aver pagato 170 mila sterline siriane (poco più di 1.800 euro). Un altro santario dello staff dell’ospedale Akilah è sfuggito alle forse del regime mentre si trovava ad Homs. «Due carri armati e 40 soldati si sono presentati all’ospedale – racconta il medico che ha preferito non rivelare il suo vero nome -: aprivano ogni porta e dicevano ai nostri amici che volevano trovarci per tagliarci la lingua».
Intanto all’ospedale Akilah i medici siriani continuano a svolgere il loro servizio che sembra apprezzato anche dai pazienti giordani. Non sono pochi, infatti, secondo il Jordan Times, i pazienti poveri di Amman che approfittano, non sapendo provvedere in altro modo, delle cure gratuite dell’ospedale.