I curdi seguono col fiato sospeso il negoziato in corso fra il leader del Partito dei lavoratori curdi (Pkk), Abdullah Ocalan, e il premier turco Recep Tayyip Erdogan. «È un passo avanti, un’opportunità che fino a poco tempo fa non c’era», rimarca Hevi Dilara, attivista curda e fondatrice dell’associazione Europa Levante.
(Milano) – Da clandestini a profughi a richiedenti asilo. Ed oggi a un passo dall’autonomia negata per 90 anni e che ha mietuto più di 40mila vittime nella sola Turchia. I curdi vivono col fiato sospeso il negoziato in corso fra il leader del Partito dei lavoratori dei curdi (Pkk), Abdullah Ocalan, e il premier turco Recep Tayyip Erdogan. «È un’opportunità che fino a poco tempo fa non era neanche in discussione: il fatto che il governo abbia aperto un canale di dialogo è già un riconoscimento di Ocalan come rappresentante del popolo curdo» rimarca Hevi Dilara, 39 anni, fondatrice dell’associazione Europa Levante e direttrice del Festival del cinema curdo che si è appena svolto a Roma.
La Dilara è uno dei circa 5.000 curdi residenti in Italia, 2.900 dei quali hanno ottenuto lo status di richiedenti asilo dal 2001 ad oggi. «Sono venuta in Italia nascosta sotto un Tir, 17 anni fa», racconta. «A Istanbul ero stata arrestata e torturata solo perché sorpresa a cantare in curdo, e all’epoca in Turchia era proibito parlare, scrivere o recitare nella nostra lingua: questa è stata la colpa dei 17 mila fra avvocati, attori, giornalisti ritrovati negli anni scorsi nelle fosse comuni. Quando mi hanno rilasciato sono fuggita. Sono salita su un camion a Spalato con altre sei persone, ed è il mio ultimo ricordo: mi sono risvegliata in un ospedale di Milano». Era il 1996, e da lì a poco (in seguito allo sbarco di 836 clandestini, la metà dei quali curdi, il 26 dicembre 1997 a Badolato, in Calabria) sarebbe cambiata la posizione italiana davanti ai richiedenti asilo curdi, fino ad allora registrati come «turchi» o «iracheni» e che da quel momento hanno goduto di un sistema di protezione in linea con le disposizioni internazionali sull’assistenza umanitaria.
La Dilara ha fondato nel 2001 l’Associazione Europa Levante per la diffusione della lingua e cultura curda. «Ho vissuto anni duri – dice – difficilissimi, come tanti altri di noi. Oggi sono più ottimista: il dialogo con Ocalan rappresenta la presa di coscienza che una soluzione potrà venire solo dal negoziato col Pkk. Ed è un negoziato che scompagina i piani di chi vorrebbe preservare lo status quo».
Le trattative in corso in Turchia sembrano infatti uno degli effetti collaterali delle rivoluzioni che stanno ridisegnando il Medio Oriente. Dopo esser stati privati con il Trattato di Losanna del 1923 del riconoscimento della loro identità linguistica e culturale, i curdi sarebbero oggi tra i 15 e i 20 milioni in Turchia, 10 milioni in Iran, 6-7 milioni in Iraq, poco più di 3 milioni in Siria e 2 milioni in Europa (in stragrande maggioranza in Germania, Francia, Olanda, Gran Bretagna).
In Iraq, dove i curdi hanno ottenuto un’ampia autonomia dal crollo del regime di Saddam (nel 2006), il governo centrale di Baghdad e il governo regionale curdo (Krg) a Erbil sono da mesi ai ferri corti per gli accordi energetici che il Krg vorrebbe firmare con la Turchia, tanto che i due eserciti continuano ad ammassare truppe lungo un contestato confine nella regione ricca di petrolio di Kirkuk. In Siria, dopo che Bashar al Assad ha ritirato l’esercito dalle città a maggioranza curda nel nord del Paese, al confine con la Turchia, anche per punire il vicino per l’appoggio dato ai ribelli siriani, la regione è sotto il controllo del Partito dell’Unione democratica (curda) (Pyd) e di altre fazioni siriane alleate del Pkk turco, che ambiscono a creare uno staterello curdo sulla scia di quanto avvenuto in Iraq.
Il premier turco Erdogan si è trovato così costretto a fare concessioni ai militanti curdi in patria, e ad avviare una trattativa con Ocalan, rinchiuso nel carcere dell’isola di Imrali, per arrivare a un accordo sul riconoscimento dei diritti della minoranza curda. «Il fatto che il governo incontri il presidente del partito Pkk, da loro ingiustamente inserito nella lista delle organizzazioni terroristiche – rimarca la Dilara – è già il segno del riconoscimento dell’organo di rappresentanza del popolo curdo. Diversi paesi in Medio Oriente e in Occidente sono contro queste trattative: perché la pace, la democrazia, il riconoscimento dei diritti dei curdi in Turchia cambierebbe lo scenario politico di tutta la regione e costringerebbe l’Iran e la Siria a fare altrettanto: tutto questo a qualcuno non conviene. Questa mossa cambierebbe l’intero scacchiere».
La Dilara si dice convinta che l’assassinio lo scorso 9 gennaio a Parigi delle attiviste Sakine Cansiz, Fidan Dogan e Leyla Soylemez rappresenti il tentativo di sabotare il negoziato. «È il grande impegno di queste nostre tre patriote, in Francia come rifugiate politiche – dice – ad aver decretato la loro condanna a morte e a rendere ancora più odioso questo delitto». Tutto dipende dalla volontà politica del governo turco di condurre in porto i negoziati. «I curdi non vogliono separarsi – chiosa la Dilara – ma intendono vedere riconosciuti i propri diritti. Vogliamo vivere in Turchia in pace e fraternità con i turchi, studiando e preservando la nostra lingua e identità oltre a quella turca». I curdi non demordono, e già pensano alla festa del Capodanno curdo (Newroz), antichissima festività di origine zoroastriana, che il prossimo 21 marzo vedrà il centro culturale Hararat portare in piazza a Roma, a Testaccio, le musiche, le storie, le danze intorno al fuoco e l’anelito per la libertà del popolo curdo.