C’è bisogno «dell’aiuto di tutti» per aiutare a sopravvivere 200 mila profughi siriani presenti in Libano e che, al ritmo di 5.000 nuovi ingressi a settimana, potrebbero diventare 300 mila prima di giugno, con un costo «insostenibile per il Libano» stimato in 180 milioni di dollari al mese. Appello della Cnewa.
(Milano) – C’è bisogno «dell’aiuto di tutti» per aiutare a sopravvivere 200 mila profughi siriani (quelli ufficialmente registrati dall’Alto commissariato delle Nazioni Unite per i profughi sono 160 mila) presenti in Libano e che, al ritmo di 5.000 nuovi ingressi a settimana, potrebbero diventare 300 mila prima di giugno, con un costo «insostenibile per il Libano» stimato in 180 milioni di dollari al mese. È questo l’appello di Issam Bishara, direttore regionale per il Libano, la Siria e l’Egitto della Catholic Near East Welfare Association (Cnewa), braccio umanitario della Santa Sede per i cristiani orientali.
Dottor Bishara, quali misure avete approntato in questi mesi?
Centinaia di migliaia di profughi siriani hanno lasciato le loro case e città. La maggior parte si sono stabiliti nei campi profughi in Turchia e Giordania, mentre le famiglie cristiane sfollate hanno trovato rifugio nelle città siriane costiere di Marmarita e Safita, nei villaggi della cosiddetta “«Valle Cristiana» e in molte aree del Libano da familiari e amici. La nostra agenzia ha creato un programma di emergenza per coordinare gli aiuti dei cattolici, specialmente verso quelle famiglie cristiane che non ricevono aiuti da parte dei benefattori internazionali perché vivono fuori da questi campi profughi. Tra le altre attività, ci stiamo concentrando su circa 2.000 famiglie di sfollati che hanno perso tutto, anche i vestiti pesanti per l’inverno.
Di che cosa principalmente avete bisogno?
Quando la guerra è iniziata la preoccupazione principale era come reperire viveri e acqua. Ma ora ci servono tende, coperte, stufe, strutture di riscaldamento, luoghi fisici sempre più difficili da individuare in cui accogliere queste persone che in Libano aumentano di giorno in giorno e si riversano terrorizzate nella valle di Bekaa a est oppure entrano a Nord da Tripoli.
In quanto avete stimato le necessità?
Secondo i dati del ministero degli Affari sociali, servirebbero 180 milioni di dollari al mese per sostenere questi rifugiati. Ovviamente questo denaro non c’è: il Libano è un Paese che viveva soprattutto di turismo, che oggi è sempre meno. Per questo abbiamo bisogno di una soluzione politica e dell’aiuto di tante donazioni.
Quali difficoltà incontrate con questa campagna?
La prima è far prendere coscienza all’opinione pubblica occidentale di ciò che sta avvenendo in Siria, di quale sia la situazione sul campo: i nostri uffici in Canada e Stati Uniti lavorano a pieno ritmo, abbiamo donatori da Germania e Svizzera, ma i bisogni aumentano di giorno in giorno. Il Papa ha già mandato un milione di dollari tramite il cardinale Robert Sarah, presidente del Pontificio consiglio Cor Unum, ma ciascuno deve dare una mano. Il secondo problema è come aiutare quanti restano in Siria, e che si spostano continuamente a causa degli scontri: chi lascia la campagna per trovare ripari più sicuri arriva nelle città che non sono equipaggiate, non hanno rifugi. A causa degli spostamenti i numeri di chi chiede aiuto cambiano continuamente.
Quali sono i suoi timori per i prossimi mesi?
Senza una soluzione politica e senza nuove donazioni, non saremo in grado di far fronte ai bisogni di queste persone e tanto meno di aiutarli a ricostruire il Paese. Quanti sono sopravvissuti parlano di distruzioni su larga scala, di fattorie e fabbriche saccheggiate o rase al suolo. Solo ad Aleppo sono state distrutte un migliaio di piccole imprese, anche dopo la guerra sarà difficile far scendere i prezzi.
Che ne è stato dei rifugiati iracheni che avevano trovato rifugio a Damasco e Aleppo?
In effetti la guerra ha interessato anche loro. Dopo essere fuggiti dagli orrori della guerra in Iraq, sono in fuga anche dall’orrore della guerra civile in Siria, e in migliaia cercano protezione in Libano, vivendo in condizioni estreme. Queste famiglie hanno bisogno di un riparo, in particolar modo di assistenza sanitaria. Cnewa, attraverso i servizi delle Suore del Buon Pastore nell’ambulatorio Sant’Antonio, sta fornendo assistenza sanitaria essenziale a centinaia di rifugiati iracheni e siriani. Ma altre migliaia di persone hanno bisogno di aiuto.