Dopo la scomparsa di papa Shenuda III avvenuta il 17 marzo 2012, il 4 novembre scorso la Chiesa copta ha accolto il suo nuovo patriarca Tawadros II. La designazione, dopo un lungo e complicato iter governato da uno statuto del 1957, è avvenuta per estrazione durante un rito liturgico previsto ad hoc. Intronizzato il 18 novembre, il nuovo patriarca si è isolato per diversi giorni nel monastero di Anbâ Bishoy, nel Wadi al Natrûn, per poi ritornare nella sede del Cairo all’inizio di dicembre.
Il centodiciottesimo patriarca d’Alessandria della Chiesa copta ha iniziato il suo ministero affrontando una serie di dossier, un vero e proprio «triangolo delle sfide», secondo la definizione data dal giornalista Muhammad Nour.
La prima questione riguarda la costruzione dei luoghi di culto. Finora è sembrato normale che in un Paese a maggioranza islamica, le moschee godessero di una libertà maggiore. Ancora durante il regime di Mubarak, i cristiani (ortodossi, cattolici e protestanti) avevano però presentato un progetto di legge per ottenere il medesimo trattamento dei musulmani relativamente ai luoghi di culto. La legge è attualmente ancora nei cassetti del Parlamento.
Il secondo dossier spinoso sul tavolo di Tawadros II riguarda il diritto matrimonale. Nel 1980 le tre comunità cristiane (ortodossa, cattolica e protestante) presentarono una proposta di legge per regolamentare il matrimonio cristiano in Egitto. Il progetto venne presentato al ministro della Giustizia di allora, il quale lo passò al Parlamento… Ma poi il provvedimento venne messo nel cassetto. Nel 1988, Shenuda III invitò i capi delle tre Chiese per una revisione del progetto, in vista di una sua ripresentazione. Nel 2006, durante la sua discussione, apparve chiara una differenza di vedute tra le tre comunità cristiane in materia di divorzio e seconde nozze.
Secondo il diritto di famiglia in vigore in Egitto, anche i copti possono ottenere il divorzio quando le coppie mostrano un dissidio dovuto alla diversa appartenenza ecclesiale di uno dei due partner. Aggiungiamo anche il fatto che una donna, anche se è copta, può ottenere un divorzio civile, adducendo come causa la difficile convivenza con il marito. Uno dei due coniugi può poi ottenere il divorzio rinunciando a qualsiasi pretesa economica sull’altro partner. Tale istituzione è conosciuta in Egitto con il termine arabo di khul’ (deposizione).
Fino al 1938 il diritto canonico della Chiesa copta riconosceva 9 motivi per lo scioglimento del legame matrimoniale. Con un decreto del 1971, Shenuda ha ridotto i casi di sciogliemento a tre, tra cui il passaggio a un’altra Chiesa che segue una dottrina diversa da quella copto-ortodossa. Ma la Chiesa copta ha ottenuto dalle altre Chiese di impedire nei fatti la possibilità di aderire a una diversa confessione cristiana per chi è sposato. Il risultato è che ora nei tribunali civili pendono oltre 100 mila cause di divorzio.
Il terzo dossier che Tawadros II dovrà prendere in mano riguarda la partecipazione dei copti alla vita politica. Fino al 25 gennaio 2011, i copti si rifugiavano nella loro cattedrale, cercando nella Chiesa la soluzione ai loro problemi di carattere socio-politico. Ma con la Rivolta di piazza Tahrir i copti hanno infranto il muro della paura.
I prossimi mesi diranno se il nuovo patriarca condivide il pensiero politico del suo predecessore (che tendeva a scoraggiare una partecipazione diretta dei fedeli alla gestione della cosa pubblica) oppure permetterà al laicato copto, che ha dato prova di responsabilità e desiderio di cambiamento, di giocarsi sulla scena politica per concorrere al bene comune della nazione.