Si è aperta questa mattina a Bruxelles la due giorni dei ministri degli Esteri dei Paesi aderenti alla Nato. Tra i temi più scottanti all’ordine del giorno vi è il conflitto in corso in Siria e la richiesta di assistenza militare presentata dalla Turchia. Sul tavolo, forse, anche l'ipotesi di un intervento diretto internazionale per rovesciare il regime del presidente Assad.
(Milano/g.s.) – Si è aperta questa mattina a Bruxelles la due giorni dei ministri degli Esteri dei Paesi aderenti alla Nato. Tra i temi più scottanti all’ordine del giorno vi è il conflitto in corso in Siria e la richiesta di assistenza militare presentata dalla Turchia. Il governo di Ankara chiede agli alleati di fornirgli batterie di missili terra-aria Patriot da schierare sul proprio territorio in prossimità del confine. Al quartier generale del Patto Atlantico dichiarano che gli ordigni balistici avrebbero un impiego esclusivamente difensivo, ma taluni esperti ipotizzano che possano essere utilizzati anche per imporre una zona di non sorvolo in alcuni settori dei cieli siriani.
Una misura del genere rappresenterebbe un mutamento di scenario: in Siria avremmo per la prima volta dal marzo 2011 l’intervento di potenze straniere con il ricorso alle proprie forze armate. Sarebbe una di quelle campagne militari ufficialmente dettate da «ragioni umanitarie» e volte a impedire crimini più gravi sulla popolazione da parte del governo di Damasco.
L’avvertimento al presidente siriano Bashar al-Assad è stato ribadito con forza ieri dal segretario di Stato americano, Hillary Clinton, in visita a Praga. Nel corso di una breve conferenza stampa con il primo ministro Karel Schwarzenberg, la Clinton ha risposto alla domanda di un giornalista del New York Times, quotidiano che aveva appena pubblicato la notizia di un imminente ricorso alle armi chimiche da parte delle forze di Assad. «Il nostro punto di vista lo abbiamo espresso con molta chiarezza – ha detto il capo della diplomazia statunitense –. Questa è una linea rossa per gli Stati Uniti. Non starò a scendere nei dettagli circa quello che faremmo se avessimo prove credibili che il regime di Assad si accinge ad usare armi chimiche contro il suo popolo. Sarà sufficiente dire che stiamo pianificando le azioni conseguenti da adottare in quel caso. Ancora una volta voglio lanciare un avvertimento molto deciso al regime di Assad. La sua condotta è riprovevole e le azioni contro il suo popolo sono tragiche. Ma non c’è dubbio che esiste una linea invalicabile tra gli orrori che sono già stati inflitti al popolo siriano e il passo successivo, rappresentato da un ricorso alle armi chimiche già condannato a livello internazionale».
Il ministero degli Esteri siriano ha risposto che, se anche le avesse, il governo di Damasco non impiegherebbe le armi chimiche contro il suo popolo (ma è escluso che possa decidere di usarle contro quegli insorti che considera infiltrati di Al Qaeda sul suolo siriano?).
Nei giorni scorsi gli scontri sul terreno si sono fatti più intensi anche in prossimità della capitale. L’aviazione e l’artiglieria delle forze armate siriane hanno bombardato i sobborghi a sud di Damasco e le zone circostanti l’aeroporto, per ricacciare indietro i ribelli che stanno conquistando terreno. Altre bombe sono state sganciate domenica anche sulla cittadina di Ras al-Ain, che sorge nella Siria nord-orientale proprio alla frontiera con la Turchia e costituisce praticamente un unico centro urbano con la città turca di Ceylanpinar. Proprio per questa ragione quel valico è un punto strategico. Detenerne il controllo è essenziale tanto per gli insorti – che da lì possono far transitare personale e rifornimenti che arrivano dall’estero – quanto per le truppe regolari, che hanno l’obiettivo opposto.
Intanto il travaglio siriano è giunto alla novantesima settimana. Almeno 40 mila persone, combattenti o non, sono state uccise. Altissimo il prezzo pagato dai civili inermi. Secondo i calcoli delle agenzie umanitarie dell’Onu almeno 4 milioni di persone hanno risentito in qualche modo del conflitto in atto. Un milione e 200 mila individui vivono da sfollati in migliaia di scuole, accampamenti o altri edifici pubblici trasformati in luoghi d’asilo improvvisati. Almeno 500 mila persone hanno varcato i confini in cerca di scampo, soprattutto verso Turchia, Giordania e Libano.
Anche in Siria, come accade purtroppo in ogni guerra, possiamo parlare di città martiri devastate dai combattimenti: è toccato prima a Homs e ora ad Aleppo. La scorsa settimana il vescovo caldeo di quest’ultima città, mons. Antoine Audo, raccontava all’agenzia Fides che «tutto appare avvolto da un senso di rovina e decadenza… Ci sono centinaia di migliaia di rifugiati interni, accalcati nelle scuole e in accampamenti improvvisati, come i più di 5 mila che dormono all’aria aperta nei giardini della città universitaria. La gente non lavora e tutti sono diventati poveri. Anche quelli che vivono ancora nelle loro case. Le aree industriali delle periferie sono state bombardate e saccheggiate. Da settimane non si raccoglie l’immondizia, e nelle strade l’aria diventa irrespirabile».
Anche le comunicazioni all’interno del Paese non sono facili. Per giorni e giorni la scorsa settimana sia Internet sia la rete telefonica sono andati fuori uso (il governo attribuisce la responsabilità alle azioni di sabotaggio degli insorti). Per questo anche i contatti tra i frati della Custodia di Terra Santa del Libano e i confratelli che si trovano in Siria sono precari. Da Beirut, il responsabile della comunità, fra Halim Noujaim, si rammarica del progressivo deteriorarsi della situazione sul terreno e affida anche i frati alla Provvidenza… e alla preghiera di intercessione di chi ci ha letto fin qui.