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La svolta autoritaria del presidente Morsi scuote l’Egitto

Carlo Giorgi
4 dicembre 2012
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La svolta autoritaria del presidente Morsi scuote l’Egitto
Manifestanti in piazza al Cairo nei giorni scorsi contro il presidente egiziano Mohamed Morsi.

È prevista al Cairo oggi, 4 dicembre, una manifestazione che potrebbe rivelarsi cruciale per il futuro dell’Egitto: una marcia sul palazzo presidenziale, organizzata da diciotto partiti e gruppi dell'area laica egiziana, in segno di protesta contro la svolta autoritaria del presidente Mohamed Morsi. La pietra d'inciampo è la nuova Costituzione.


(Milano) – È prevista al Cairo oggi, 4 dicembre, una manifestazione che potrebbe rivelarsi cruciale per il futuro dell’Egitto: una marcia sul palazzo presidenziale, organizzata da diciotto partiti e gruppi dell’area laica egiziana, in segno di protesta contro la svolta autoritaria del presidente Mohamed Morsi. La marcia di oggi è appoggiata anche dalla magistratura e dai media: ben 12 giornali e 5 canali televisivi, annuncia il quotidiano egiziano Al Ahram, sono in sciopero oggi e domani: «Questo è l’ultimo avvertimento a Mohamed Morsi, che è stato eletto presidente in modo democratico – recita minacciosamente la pagina Facebook di uno dei gruppi organizzatori, la Corrente popolare egiziana -: le sue politiche, che favoriscono il suo partito e il suo gruppo (i Fratelli Musulmani – ndr), stanno facendo dissolvere la sua credibilità».

In effetti, secondo una ricerca divulgata ieri da Baseera (il Centro egiziano di ricerca sull’opinione pubblica), «solo» il 58 per cento degli egiziani avrebbe voterebbe per Morsi se le elezioni si tenessero ora, contro il 78 per cento dei consenso che il presidente aveva registrato dopo i primi cento giorni di governo. «Grazie Morsi. La tua ultima mossa ha fatto in modo di unire il fronte nazionale che salverà l’Egitto – ha scritto ironicamente Youssef Sidhom, direttore del giornale copto Al Watani –. Grazie Fratelli Musulmani. Proprio la fretta di appropriarvi del potere ed escludere chiunque altro vi spazzerà via».

La marcia odierna che vedrà rappresentanti dell’opposizione, magistrati e giornalisti puntare sul palazzo presidenziale, ha il sapore dell’«ultima spiaggia».

Per comprendere la gravità del momento, conviene ricapitolare gli avvenimenti degli ultimi giorni: in Egitto un’Assemblea costituente sta lavorando da oltre sei mesi per scrivere una nuova Costituzione – la prima democratica dopo il dispotismo di Hosni Mubarak -, che, se condivisa da tutte le forze del Paese, potrebbe gettare le fondamenta durature di un solido Egitto. A metà novembre, però, sia i membri cristiani (copti, cattolici e protestanti), sia i laici si dimettono dalla Costituente per denunciare l’impronta fortemente islamica che sta assumendo la nuova Carta. Le dimissioni ottengono il risultato di indebolire la forza e la credibilità dell’Assemblea, diventata espressione solo della componente islamista della nazione. In aggiunta a questo, le opposizioni attendono per i primi di dicembre una sentenza della Corte Costituzionale che si pronunci sull’incostituzionalità, o meno, della stessa Assemblea. Se venisse sancita l’incostituzionalità, il legislatore si troverebbe costretto a convocare una nuova Costituente. L’ala islamista del Paese sembra messa nell’angolo, ma sopraggiunge la mossa inaspettata di Morsi: il presidente, lo scorso 22 novembre, emana un decreto in cui stabilisce che nessun tribunale possa contrapporsi alle sue decisioni, collocandosi di fatto al di sopra del controllo della magistratura. Atto che gli consente di «blindare» i lavori dell’Assemblea, portandola a licenziare il testo proposto per la nuova Costituzione il 30 novembre scorso. Un testo che non piace né ai cristiani, né ai laici. Lo stesso giorno, il presidente pronuncia un discorso nel quale fissa la data di un referendum popolare il giorno 15 dicembre, referendum che potrebbe sancire l’approvazione definitiva della contestata Costituzione.

Di fatto, dal 22 novembre, giorno in cui Morsi si è investito – spiazzando tutti – di «poteri speciali», la democrazia egiziana ha smesso di vivere nei palazzi ed è tornata ad occupare le strade: in piazza Tahrir (il luogo simbolo della rivoluzione egiziana del 2011) si sono concentrati gli oppositori del presidente, soprattutto quelli dei partiti laici. Il quotidiano egiziano Daily News dà notizia anche di manifestazioni di immigrati egiziani a New York, Toronto, Parigi; la maggior parte, contro la svolta autoritaria del presidente. Le manifestazioni che hanno animato il Cairo negli ultimi dieci giorni sono state funestate da scontri e dalla repressione della polizia; vi sono stati alcuni morti e centinaia di feriti. Per contrastare il fronte popolare a lui avverso, Morsi sta dimostrando di saper mobilitare le masse: «Quando il presidente Morsi ha voluto spiegare i motivi della sua azione, non ha parlato dal suo ufficio – fa notare il quotidiano copto Al Watani –: e neppure si è recato in piazza Tahrir. Invece ha pronunciato il suo discorso su un palco fatto erigere di fronte al palazzo presidenziale ad Heliopolis, nella parte est della città, dove migliaia di sostenitori dei Fratelli Musulmani sono stati convocati per applaudirlo. Pensa forse di cancellare così il simbolo di piazza Tahrir agli occhi del mondo?».

Il primo dicembre, migliaia di manifestanti favorevoli a Morsi si sono riversati di fronte alla Corte Costituzionale, bloccandone l’accesso ai giudici ed evitando che potessero riunirsi, per ostacolare la sentenza sull’eventuale incostituzionalità dell’Assemblea costituente. Di fronte a questa azione ostile, i giudici egiziani hanno dichiarato uno sciopero a oltranza. Il Club dei giudici, associazione informale a cui fa riferimento una parte dei magistrati egiziani, come reazione ha annunciato un sabotaggio al referendum popolare del 15 dicembre, attuato semplicemente evitando di recarsi ai seggi per supervisionare le operazioni di voto: sabotaggio che potrebbe portare al fallimento della consultazione. Il Consiglio superiore della magistratura egiziana, però, secondo la Bbc si sarebbe impegnato a garantire lo svolgimento del referendum.

In questa situazione di profonda incertezza va segnalato che il presidente Morsi non può contare neppure sul seguito di tutta l’area musulmana del Paese. Il movimento salafita jihadidista egiziano, infatti, secondo il quotidiano Egypt Independent, avrebbe manifestato la sua opposizione al referendum del 15 dicembre per motivi opposti a quelli del fronte laico: la Costituzione proposta agli elettori, secondo i jihadisti, non garantirebbe in modo rigoroso la sharia come principio base della legislazione egiziana e va quindi bocciata…

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