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Salvatore Martinez. Ripartire da Nazaret

Carlo Giorgi
29 novembre 2012
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Salvatore Martinez. Ripartire da Nazaret
Salvatore Martinez, presidente della sezione italiana del Rinnovamento nello Spirito.

Credere non è mai stato facile e in Terra Santa lo è ancora di meno. Per questo c’è bisogno dello Spirito Santo. Lo Spirito Santo dà innanzitutto coraggio ai deboli e ci aiuta a vincere la paura. I martiri fioriscono ancora oggi, ma il martirio è un dono dello Spirito Santo». È un inno allo Spirito l’incontro con Salvatore Martinez, 46 anni, presidente della sezione italiana del Rinnovamento nello Spirito, il movimento cattolico che conta oltre 200 mila aderenti nel nostro Paese, suddivisi in circa 1.900 gruppi. Dal 2007, quarantesimo anniversario del movimento a livello mondiale, ogni estate il presidente guida un grande pellegrinaggio in Terra Santa che coinvolge circa 300 membri dei gruppi italiani, in un percorso di iniziazione cristiana sui luoghi della vita terrena di Gesù. Così, anno dopo anno, si è approfondita una familiarità tutta speciale tra il movimento, la terra del Signore e le comunità cristiane che là vivono.

Presidente, quando si è recato per la prima volta in Terra Santa?
Pochi mesi dopo il mio matrimonio con Luciana, nel ‘96. Ci accompagnò monsignor Dino Foglio, che per quarant’anni ha guidato pellegrini in Terra Santa ed è stato coordinatore nazionale del movimento prima di me. Ho un ricordo ancora vivo di quella prima esperienza, anche per il legame umano che avevo con monsignor Foglio. Mi rendo conto che fu una visita fatta con lo stupore di chi passa: il passante vede le cose e va oltre, anche perché i tempi incalzanti del viaggio non ti permettono di sostare. Il pellegrino, invece, guarda con gli occhi del cuore, penetra la verità delle cose. Allora, pur essendo quello un pellegrinaggio, capii che ero stato soltanto un passante e che avrei dovuto tornare da pellegrino, più ad occhi chiusi che ad occhi aperti, con lo sguardo dell’anima. E di pellegrinaggi ho avuto la grazia di farne così tanti che non li conto più … Soprattutto negli ultimi 5 anni, da quando abbiamo fatto partire la tradizione di un pellegrinaggio nazionale guidato dai massimi responsabili del movimento assieme a un’équipe di sacerdoti. Si tratta di un pellegrinaggio in otto tappe, a cui corrispondono otto catechesi diverse che percorrono la storia della Salvezza: da Nazaret, ovvero il luogo dell’incarnazione, al Cenacolo, che segna la venuta dello Spirito Santo. Il legame del movimento con la Terra Santa è antico: molti sacerdoti e laici del Rinnovamento sono guide riconosciute da tanti anni.

Nei Paesi del Medio Oriente il Rinnovamento ha messo radici?
Siamo presenti in quasi tutti i Paesi dell’area. In Medio Oriente, come in Estremo Oriente, però abbiamo missioni di evangelizzazione spesso legate a stranieri, a comunità di indiani o di europei. È più difficile che ci siano comunità stanziali, composte da cristiani del luogo. Quasi sempre sono gruppi appartenenti a comunità internazionali che vanno con un intento preciso, che è quello di evangelizzare i giovani e le famiglie e di sostenere la causa missionaria. In questo senso il Rinnovamento non è solamente presente, ma direi anche estremamente utile nello sviluppo delle attività delle nostre Chiese, per cui i nostri vescovi trovano in noi un aiuto nell’animazione.

In Medio Oriente, e nella Penisola Arabica in particolare, manifestare apertamente la propria fede può costare caro. Com’è possibile, in queste condizioni, per un cristiano offrire la propria testimonianza?
Nella misura in cui c’è lo Spirito Santo, tutto ciò si renderà possibile. Altrimenti è assai difficile, facendo appello solo alla ragione umana, alle risorse umane, alle opportunità legislative o alle convenzioni. Rimanere fedeli a Gesù, non avere vergogna di confessare il suo nome; rimanere legati alla consegna di Gesù. «Guai a me se non evangelizzassi!» (1 Cor. 9, 16), non è un artifizio mentale. Invece quel che ti spinge a farlo è una passione, un amore, una speciale condizione interiore. Per suscitarla è necessario lo Spirito Santo. Ma lo Spirito Santo è anche intelligenza, fantasia d’amore. Ci suggerisce le strategie più opportune per evitare che questo cammino si arresti. Non tanto per scansare il martirio – che ci è stato assicurato da Gesù – ma per trovare le modalità attraverso cui permeare di valori cristiani la società, seminare in modo che anche altri raccolgano. Dunque c’è sicuramente una testimonianza frontale che deve essere data, che è quella della fede; ma bisogna anche creare condizioni culturali e politiche particolari. In questo lo Spirito ci dà intelligenza, metodologia, capacità di stabilire relazioni. Insomma, la Chiesa deve essere costruita nell’ordine visibile per espandere il Regno di Dio; ma intanto deve nascere ed essere ospitata nei cuori: questo «tempio spirituale» come dice san Paolo. Chi lo sa coltivare, sa anche costruire la storia; sa parlare a Dio e saprà anche parlare di Dio agli uomini. Per questo, oggi, la componente spirituale è condizione fondamentale per la diffusione della fede in Europa, dove c’è l’apostasia, come anche in Medio Oriente dove c’è la persecuzione. I tempi sono difficili ovunque ma lo Spirito li rende più facili.

Qual è l’aspetto spirituale del Medio Oriente che più la colpisce?
Ho avuto la grazia di visitare sia Paesi islamici dove l’intolleranza è estremamente marcata, sia quelli dove c’è possibilità seppure vigilata di confessare la fede. La cosa che più mi ha colpito è l’interesse per la difesa della famiglia. Credo che non ci sia tema, sia sul piano ecumenico che sul piano interreligioso, che unisce come quello della famiglia. Nel senso che il problema della desacralizzazione della famiglia è una preoccupazione comune alle tre religioni monoteiste. Noi vediamo quanto processi di modernizzazione e secolarizzazione stanno indebolendo la tenuta valoriale, spirituale della famiglia. Ma la stessa cosa inquieta anche ebrei e musulmani: sono profondamente preoccupati dalla «desacralizzazione del tempio», quindi dall’eclissi di Dio; e pertanto anche dall’estromissione della vita spirituale da quella culla che è la famiglia. Allora, la cosa che mi colpisce, evidentemente, è la componente religiosa della vita umana che è ancora molto marcata in queste due altre religioni monoteiste. Lo si vede anche nel concetto di festa come «occasione per ribadire la propria identità», le proprie tradizioni, quindi non semplicemente commemorazione; ma, come diremmo noi, dei memoriali. Mi sembra che il cristianesimo risenta favorevolmente di questo impianto, per cui, in una santa emulazione, confrontarsi con religioni dove la componente del sacro è così marcata giova, perché consente di mantenere la propria fede e le proprie tradizioni.

A proposito di famiglia: oggi le famiglie cristiane del Medio Oriente – tra guerre, povertà e persecuzioni – sono tentate di fuggire dalla loro terra. Cosa può dare loro speranza?
Occorre far sentire loro il calore di una solidarietà che spesso purtroppo non si avverte. Spesso i nostri fratelli cristiani soffrono una solitudine che diventa insopportabile, molti sono addirittura obbligati a lasciare la fede. Se sentono il calore di una presenza, che non è soltanto un sostegno materiale, ma anche spirituale tutto diventa più facile. Il verbo di Gesù, in fondo, è «rimanete nel mio amore»; è più facile fuggire, è più difficile rimanere… e talvolta c’è bisogno del conforto di un fratello. Bisogna che ci sia una nostra scelta di stare più in Terra Santa, di stare di più in questi Paesi, anche con la gratitudine di chi non dimentica che tutto ha avuto inizio lì: sono le prime comunità cristiane, quelle che hanno dato il fondamento apostolico, che chiedono aiuto; e c’è un debito di memoria e di riconoscenza, oltre che di credibilità, perché non si può permettere che il cristianesimo scompaia nelle terre in cui è iniziato. Dovremmo quindi valutare con più attenzione cosa significhi non solo pregare per queste Chiese in difficoltà ma sostenerle, e non tanto con questue e oboli, ma con un impegno pastorale più strutturato.

In questo senso, un aiuto concreto sarà il Centro internazionale della famiglia di Nazaret, la cui gestione è stata affidata dal Papa al Rinnovamento. Quali saranno i suoi compiti?
Si tratta di un progetto della Santa Sede, una fondazione pontificia promossa dal Pontificio consiglio a cui il Rinnovamento nello Spirito presta un servizio di animazione. Un grande centro internazionale che promuova la cultura della famiglia. Avrà la caratteristica dell’universalità nelle lingue, nelle esperienze e nei carismi che possono interagire. Ci sarà una comunità residenziale, nella logica dei fidei donum di consacrate, al femminile, provenienti da vari Paesi, in modo che le varie lingue possano essere onorate. Ci saranno poi degli animatori del Rinnovamento, anche questi con uno sguardo internazionale. Il Centro, poi, avrà tre grandi direttrici: in primo luogo sarà come una «grande vetrina» a vantaggio della Chiesa cattolica: vogliamo mettere in mostra tutto il bello, il buono, il giusto, il vero che ruota intorno alla famiglia: la famiglia e il welfare, la società, la politica, l’educazione, il tempo libero, i media. Vorremmo avere, a livello mondiale, ogni anno l’appuntamento di una settimana in cui si fa il punto della situazione su tutto ciò che avviene intorno alla famiglia, assieme alle università cattoliche, alle conferenze episcopali, ai movimenti. È chiaro che questo riguarda la formazione con un taglio pastorale, riguarda la nuova evangelizzazione; ci piacerebbe che, sul piano ecclesiale, questo centro fosse propulsore e avesse un valore di profezia. La seconda direttrice è quella che sottolinea il valore interreligioso ed ecumenico della famiglia. Vorremmo provare ad avere in Terra Santa, e direi nel Mediterraneo, un luogo con questa vocazione. E se tutto ha avuto inizio a Nazaret, vorremmo che da Nazaret ripartisse la profezia della famiglia, con questa componente religiosa confessionale che non deve escludere, anzi includere, le altre religioni. Non ci dimentichiamo che Nazaret è araba e ogni giorno si sperimenta la comunione con gli arabi musulmani. A pochi chilometri di distanza sorge la città ebraica di Nazaret Illit, quindi è facile immaginare questi cammini di comunione. E in questo senso un Centro come questo deve essere un dono, soprattutto per la Terra Santa e per le famiglie della Terra Santa. Il terzo aspetto è più sociale, cioè vorremmo aiutare la famiglia a non fuggire dalla Terra Santa, aiutare le famiglie a non essere così povere. Per questo vorremmo promuovere un grande progetto di fund raising internazionale a sostegno della famiglia. Con una valenza sociale, politica ed economica molto marcata.

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