È risuonato anche qui, tra le mura del nostro monastero, l’appello del Santo Padre Benedetto XVI a varcare la porta della fede. La vigilia dell’11 ottobre 2012 ci siamo raccolte nella nostra chiesa per una veglia di preghiera insieme ai giovani frati e qualche amico della comunità. Una vigilia per sintonizzarci con tutta la Chiesa, per riascoltare parole antiche e nuove pronunciate cinquant’anni fa, in occasione dell’apertura del concilio Vaticano II. Parole che parlano di fede; parole che parlano di una Porta che si distingue da tutte le altre, perché oltre ad avere un Nome ha anche un Volto.
E per un monastero di clausura parlare di porte ha una risonanza tutta particolare, ha uno spessore anche fisico, oltre che simbolico. E proprio quel giorno, 11 ottobre, una giovane ragazza francese ha varcato questa nostra porta di clausura per incominciare il suo cammino di sequela sui passi di santa Chiara d’Assisi, sulla scia di tante altre sorelle che prima di lei hanno creduto che oltre quella porta si apre il sentiero della vita. Sì, ci sono tante porte nella vita, cui si giunge dopo un percorso più o meno lungo, più o meno cosciente.
Come a Gerusalemme. Anche a Gerusalemme si entra varcando una porta. La grande espansione urbana che negli ultimi decenni ha inglobato sotto le ali della Città Santa anche la periferia e i piccoli villaggi vicini, non fa riposare i pellegrini che salgono a Gerusalemme: essi trovano ristoro solo quando riescono a varcare una delle sette porte che aprono uno squarcio nelle grandi mura di Solimano che custodiscono, come uno scrigno, il cuore della città vecchia.
Le porte diventano per tutti una bussola con cui orientarsi, non solo per entrare, ma anche per uscire, soprattutto dopo aver attraversato il labirinto affollato del souk.
Le porte a Gerusalemme sono sette, più una. Sette porte aperte i cui nomi bastano per accennare qualcosa della storia gerosolimitana: c’è la Porta di Sion (o, in arabo, chiamata porta del profeta David), la Porta dei Leoni (o anche chiamata da alcuni porta di Santo Stefano); ci sono poi le porte che hanno conosciuto l’entrata di dominatori oppure dei pellegrini cristiani come Porta Nuova, Porta di Giaffa o la Porta di Damasco. Ha il suo posto anche la cosidetta Porta del Letame, nome insolito che deriva dai rifiuti ammucchiati nell’antichità in quel luogo, dove i venti dominanti ne avrebbero portato via gli odori.
C’è poi un’ottava porta, ottava quasi a richiamare un di più della perfezione dato dal numero sette: la Porta della Misericordia o Porta d’Oro. Essa è chiusa da secoli in attesa – secondo una tradizione – di una miracolosa apertura quando il Messia tornerà (o verrà) e i morti risusciteranno. È una porta che guarda ad Oriente.
La vera porta della fede guarda sempre ad Oriente.
C’è un mistero anche dentro ciascuno di noi, e la porta decisiva da attraversare è lì, tra le tante che pure ci abitano e cercano di fare breccia nelle «mura» che maestosamente custodiscono la nostra «città santa», cioè il nostro nucleo intimo più vitale.
È bello e consolante scoprire che la porta della fede che guarda ad oriente si chiama Misericordia e che, per fede, noi sappiamo essere già aperta.
E che non si chiuderà mai più!
(* L’autrice è clarissa del monastero di Santa Chiara a Gerusalemme)