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La Siria in crisi, ancora divisi gli oppositori

Terrasanta.net
20 novembre 2012
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Mentre gli occhi del mondo sono puntati su Gaza, continua a poche centinaia di chilometri di distanza la crisi siriana: lo scorso 11 novembre si è costituita in Qatar la Coalizione nazionale delle opposizioni al regime di Bashar al Assad. Ma è già frattura. E intanto, si avvicina il secondo inverno di crisi. Stagione difficile soprattutto per i profughi.


(Milano/c.g.) – Mentre gli occhi del mondo sono puntati su Gaza, continua a poche centinaia di chilometri di distanza la crisi siriana: lo scorso 11 novembre si è costituita in Qatar la Coalizione nazionale siriana delle forze rivoluzionarie e di opposizione che nelle intenzioni dovrebbe riunire tutti gli antagonisti organizzati al regime di Bashar al Assad (tra questi, con un ruolo minoritario, anche il Consiglio nazionale siriano, dal 2011 riferimento dell’opposizione per i media e la diplomazia internazionale).

L’Unione Europea ha riconosciuto la Coalizione appena formata come «legittima rappresentante» del popolo siriano. Il nuovo organismo è guidato da Ahmad Mouaz al-Khatib, ex imam della grande moschea omayyade di Damasco, e ha scelto come proprio quartier generale Il Cairo, in Egitto. Nonostante i riconoscimenti internazionali, però, non tutte le forze opposte al regime siriano hanno riconosciuto la Coalizione: i maggiori gruppi di combattenti della regione di Aleppo, ad esempio, proprio ieri hanno fatto sapere che «rigettano unanimemente il progetto cospirativo della Coalizione nazionale e annunciano il comune progetto di istituire uno Stato islamico in Siria».

Il messaggio è stato postato online in un video in cui un portavoce è seduto a un tavolo insieme a una trentina di altre persone, rappresentanti di quattordici gruppi armati diversi, compreso il Fronte Al Nusra, gruppo che si è macchiato del maggior numero di attentati suicidi in questi venti mesi di guerra.

L’Osservatorio siriano per i diritti umani ha diffuso anche la notizia di sconti tra curdi e ribelli siriani, nella città di Ras al-Ain, al confine con la Turchia. Gli scontri si sono verificati al termine di una dimostrazione nella quale i curdi chiedevano ai ribelli siriani di abbandonare la città, già governata da un gruppo curdo legato al Pkk, il partito dei lavoratori del Kurdistan con sede in Turchia. Gli scontri sono terminati con l’uccisione di sei ribelli siriani e del responsabile locale dell’Assemblea del popolo curdo.

Intanto si sta avvicinando il secondo inverno di guerra, che potrebbe risultare particolarmente duro per le centinaia di migliaia di profughi siriani fuggiti dalle loro case. L’ong internazionale Save The Children ha stimato che 200 mila bambini siriani rischiano seriamente di patire il freddo nei prossimi mesi. Mentre secondo il quotidiano libanese L’Orient-le Jour, oramai il numero di rifugiati siriani in Libano sarebbe stimato in mezzo milione di persone, un numero impressionante considerando che la popolazione libanese è di soli quattro milioni di persone.

«Questo flusso di rifugiati rappresenta un grave problema umanitario – ha dichiarato giorni fa, riferendosi ai 230 mila profughi siriani in Libano, il patriarca latino di Gerusalemme, mons. Fouad Twal -. Un centinaio di migliaia di rifugiati vive sotto le tende. Gli altri si trovano in case prese in affitto o presso delle famiglie perché ci sono molti matrimoni misti tra giordani e siriani. Si può immaginare il dramma umano e la grande precarietà di coloro che si ritrovano sotto una tenda nel campo di rifugiati a Mafraq, nel nord della Giordania. Immaginate il calore opprimente del giorno e il freddo della notte del deserto per una famiglia con bambini. È un dramma umano davanti al quale non possiamo essere indifferenti. La Caritas giordana sta facendo un ottimo lavoro. Per quanto ci riguarda, la nostra parrocchia a Mafraq ha aperto le porte della sua scuola, visto che i campi per i rifugiati non sono sufficienti, per accogliere dei bambini cristiani e non cristiani che possono così proseguire la loro frequenza scolastica. Anche le famiglie sono state accolte a Mafraq. Tuttavia non credo che la Giordania sia pronta dal punto di vista dell’elettricità, dell’acqua e di tutto il resto, per accogliere questi rifugiati. Il Paese manca assolutamente di infrastrutture. Servirebbe veramente un aiuto finanziario esterno per aiutare il Paese e rispondere alle necessità dei rifugiati».

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