L'esperienza del Bus della Libertà, la nuova iniziativa del Freedom Theatre (il Teatro della libertà) di Jenin. Un gruppo itinerante di attori e musicisti provenienti da Betlemme, Ramallah, Tulkarem, Jenin e Nazaret, che fanno uso di una forma di teatro interattivo per dare voce alla sofferenza del popolo palestinese.
(Al-Hadidiya, Cisgiordania) – Samir ha gli occhi lucidi mentre osserva gli attori del Teatro della Libertà (il Freedom Theatre) di Jenin mettere in scena la storia che ha appena narrato e condiviso con la gente della sua comunità.
«Stavo portando le pecore al pascolo quando è arrivata una pattuglia dell’esercito israeliano. Mi ha bendato, ammanettato e portato in una base militare – racconta Samir -. Lì alcuni soldati hanno aizzato i cani contro di me. Sono stato morso sul viso, sulle braccia, su tutto il corpo. Poi mi hanno gettato fuori dal campo, mi sono ritrovato da solo, alle 11 di sera. Sono arrivato a casa sfinito e sconvolto, tremando di paura».
Samir è un pastore che vive ad Al-Hadidiya, una comunità palestinese isolata e marginalizzata nel cuore della Valle del Giordano. A meno di cento metri dalle tende e dalle baracche del villaggio, sorge la verde e moderna colonia israeliana di Ro’i, costruita su terre confiscate ai pastori della comunità. Ed è proprio al-Hadidiya una delle tappe scelte dal Bus della Libertà, la nuova iniziativa del Freedom Theatre di Jenin. Si tratta di attori e musicisti provenienti da Betlemme, Ramallah, Tulkarem, Jenin e Nazaret, che fanno uso di una forma di teatro interattivo e di attivismo culturale per dare voce alla sofferenza e alla resistenza del popolo palestinese.
«Non è più la gente che viene a vedere una rappresentazione, ma sono gli attori che visitano le comunità e mettono in scena le storie dei palestinesi. Qui sta la novità di questa forma di teatro», racconta Ben Rivers, il coordinatore del Freedom Bus. I giovani attori fanno uso del Playback Theatre, una particolare forma di improvvisazione teatrale che si realizza tramite una speciale collaborazione tra gli attori ed il pubblico. «Una persona del pubblico racconta una storia o un episodio della propria vita e decide i diversi ruoli che devono svolgere gli attori. Poi si vede rappresentato in forma teatrale il suo racconto» continua Rivers.
«Durante il mese sacro di Ramadan ho provato ad andare a Gerusalemme, per pregare nella moschea di Al-Aqsa – racconta Ahmad, un giovane del campo profughi di Deisha (area di Betlemme) – I soldati al check-point di Betlemme mi hanno bloccato, maltrattato, detenuto e mi hanno rispedito a casa. Ho provato rabbia, tanta rabbia. È possibile che mi venga impedito raggiungere Gerusalemme, che si trova a meno di dieci chilometri da casa mia?». Ed ecco che Kristine, una giovanissima attrice di Betlemme, mette in scena la giornata di Ahmad, la gioia mattutina, la speranza di poter attraversare il check-point, l’umiliazione inflitta dai soldati e la rabbia per l’ingresso negato.
Sono sempre storie forti e commoventi quelle raccontate dalle comunità palestinesi visitate. Racconti di umiliazione, maltrattamento, storie di un popolo sotto occupazione militare da più di 45 anni. «Uno degli scopi di queste rappresentazioni teatrali interattive è quello catartico: si tratta di uno strumento per esprimere le proprie emozioni e per liberarsi dei vissuti senza esserne sommersi», spiega Rivers.
Inoltre quest’esperienza di teatro itinerante, che ha avuto un successo inaspettato, si è rivelata uno strumento di conoscenza ed unione delle diverse realtà della Palestina. «Con questo tour in tutta la Cisgiordania abbiamo scoperto che molti palestinesi non erano mai stati nei villaggi e nelle comunità visitate – continua Rivers -. Molti pregiudizi e stereotipi sui beduini o sugli abitanti dei villaggi sono stati abbattuti. La Palestina non è costituita solo da Ramallah o Betlemme, ma anche dai campi profughi, dalle comunità in Area C (sottoposte cioè all’amministrazione israeliana pur essendo nei Territori Palestinesi, in base agli Accordi di Oslo del 1993 – ndr), dai villaggi minacciati dall’espansione del muro e delle colonie israeliane». Proprio da questa esperienza di successo, il Freedom Bus ha deciso di organizzare per marzo 2013 un tour di 11 giorni nei villaggi cisgiordani in Area C coinvolgendo artisti, studenti ed attivisti palestinesi, come forma di «resistenza contro la campagna di pulizia etnica in corso nella Valle del Giordano e nelle colline a Sud di Hebron».
«Si, è andata esattamente così». Samir, commosso, dopo avere visto rappresentata la sua storia, torna a sedersi tra il pubblico. Forse sollevato e liberato per aver condiviso la sua esperienza personale con i membri della comunità.