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Il vescovo Youhanna Golta: Il nuovo Egitto non sarà degli islamisti

Terrasanta.net
8 novembre 2012
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Il vescovo Youhanna Golta: Il nuovo Egitto non sarà degli islamisti
Il vescovo copto cattolico Youhanna Golta.

Il numero di novembre-dicembre 2012 del bimestrale Terrasanta contiene un'intervista di Emile Amen al vescovo copto cattolico mons. Youhanna Golta, che è uno dei membri cristiani dell'Assemblea costituente egiziana. La sua è una riflessione disincantata sull'attuale fase della vita politica e sociale dell'Egitto. Anticipiamo alcuni stralci della conversazione per i lettori di Terrasanta.net.


(Milano/g.s.) – Il numero di novembre-dicembre 2012 del bimestrale Terrasanta contiene un’intervista di Emile Amen al vescovo copto-cattolico mons. Youhanna Golta, che è uno dei membri cristiani dell’Assemblea costituente egiziana. Il presule riflette sull’attuale fase della vita politica e sociale della sua nazione, senza nascondersi i rischi, ma rifiutando ogni chiusura a riccio o disperazione. Breve anticipazione di qualche stralcio dell’intervista.

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Dotato di vasta cultura sia riguardo al cristianesimo sia riguardo all’Islam, il vescovo Youhanna Golta (75 anni) è ausiliare del patriarca copto-cattolico di Alessandria (d’Egitto) ed esponente di punta di vari organismi di dialogo islamo-cristiano, a livello nazionale e internazionale. Attualmente il presule è anche tra i membri cristiani dell’Assemblea costituente incaricata di redigere la nuova Carta fondamentale della Repubblica egiziana, all’indomani della Rivoluzione di piazza Tahrir (che ne fu il centro propulsivo agli inizi del 2011).

Golta – che si è laureato al Cairo in letteratura araba e islamica, prima di recarsi in Francia dove ha studiato letteratura francese – è un ecclesiastico aperto e moderato. È anche autore di numerosi libri e ha svolto attività di docenza. Crede nel dialogo e non solo in quello interreligioso. Tanto nell’esercizio del proprio ministero ecclesiale quanto su altri fronti, il suo approccio diplomatico rasenta a volte la temerarietà.

Monsignor Golta, quanto pesano i diritti delle minoranze nell’Assemblea costituente egiziana?
Anzitutto è necessario ricordare che nell’Assemblea per la Costituzione c’è un 50 per cento di Fratelli Musulmani e un 20 per cento di loro amici. Il restante 30 per cento racchiude i liberali, i cristiani ecc. Quindi (gli islamisti) hanno sempre la voce preponderante e detengono la maggioranza. Bisogna però sapere che le parti hanno concordato di non deliberare con voto a maggioranza, ma di raggiungere sempre il consenso. Posso dire che dentro la Costituente l’influsso islamico è molto netto, soprattutto ad opera dei salafiti, che hanno una visione molto ristretta. Influenzati dal wahabismo dell’Arabia Saudita, rifiutano di misurarsi con la libertà della donna e la libertà di religione. Ma devo dire che abbiamo lottato contro questo approccio, insieme a molti musulmani moderati (tra cui anche alcuni Fratelli Musulmani), senza che per questo le relazioni coi Fratelli Musulmani si siano guastate. L’unica soluzione resta il dialogo amichevole. Credo che abbiamo messo a punto una Costituzione non troppo fanatica, non del tutto laica e non esclusivamente di stampo islamico. È una sorta di cocktail. Contiene dei passaggi che potremmo spiegare in vari modi. In altri termini è la risultanza della situazione attuale. I Fratelli Musulmani esercitano il pieno controllo sul potere: hanno uno di loro alla presidenza della Repubblica, un altro è primo ministro, dominano il Parlamento, dalle loro file vengono molti governatori… Sono molto soddisfatti della propria vittoria. Dunque bisognerà attendere un poco per lasciare che questi sentimenti decantino. Tutto ciò, però, non significa che la maggioranza del popolo egiziano accetti questa situazione. La Fratellanza è riuscita nell’intento di impiegare la religione come strumento di mobilitazione politica del popolo. Ma sono convinto che ora assisteremo alla loro perdita di consensi.

Intende dire che l’Egitto reale è più liberale della sua attuale rappresentanza politica?
Voglio dire che la primavera araba, le rivolte arabe, rappresentano un’evoluzione normale, naturale. Abbiamo a che fare con società molto influenzate dal fattore religioso. In Egitto il 40 per cento della popolazione è analfabeta, in Tunisia forse un po’ meno, in Algeria la percentuale è più alta e in Libia raggiunge il 70 per cento. È un mondo analfabeta, un mondo molto religioso, che è diverso dal dire che abbiano una fede autentica. La fede è altra cosa rispetto alla religione. Dunque quello che sta accadendo è in un certo senso normale, è un’evoluzione storica. La gente è stata molto felice all’idea che la religione potesse esercitare un ruolo predominante. Ma c’è già chi comincia a pentirsene. È questa l’evoluzione storica. Nel mondo arabo occorre passare dal purgatorio. Ci vorrà tempo, forse un anno o due di confronto aspro tra la corrente religiosa e quella laica.

Nel frattempo state scrivendo la legge fondamentale che regolerà la vita e i rapporti tra gli egiziani. Pensa anche lei che il grado di libertà e di democrazia di un Paese si misuri sui diritti che esso riconosce alle minoranze?
Sì, ma attenzione! Nel mondo arabo, l’esperienza ci insegna che la Costituzione non viene mai rispettata. Né da parte dei presidenti o dei sovrani, né da parte dei governi e del popolo. Nel mondo arabo, la Costituzione è come una medaglia, ma la si rispetta davvero? Sotto Hosni Mubarak vigeva sì una Costituzione, che però veniva ampiamente disattesa. Il presidente si comportava come voleva e il suo partito politico ha sempre fatto il bello e il brutto tempo. Si può prendere un passaggio qualsiasi della Costituzione e interpretarlo a modo proprio. E tuttavia credo che siamo riusciti in una duplice impresa: abbiamo detto ai salafiti e ai Fratelli Musulmani che nella società esistono anche altre componenti, che ci sono anche i cristiani e dei musulmani molto aperti. Ci sono donne che rifiutano ogni fanatismo. Non si aspettavano che avremmo potuto raggiungere il grado di rappresentanza che abbiamo ottenuto nella Costituente. Siamo riusciti a dire loro: «Attenti! Non siete gli unici in Egitto». È per questo che all’inizio della presidenza Morsi erano arrivati a dichiarare cose del tipo: Hamas assumerà il controllo del Sinai; la patria egiziana non esiste; siamo tutti musulmani prima d’essere egiziani; non esistono frontiere… All’inizio sentivamo discorsi simili. Adesso non possono più dirlo. Lo stesso Morsi si è rimangiato questo genere di espressioni e ha ridimensionato i suoi rapporti con Hamas. Recentemente è arrivato a rifiutare di incontrare Ismail Haniyeh, il leader di Hamas nella Striscia di Gaza. Dunque assistiamo a cambiamenti essenziali nella testa dei Fratelli Musulmani e dei salafiti. Hanno capito di non avere il monopolio della politica.

Lei non ritiene quindi che la Rivoluzione sia stata un fuoco di paglia e che gli islamisti ne approfitteranno per prendere sempre più piede.
Ci hanno provato e ci proveranno ancora. Sono membro dell’Assemblea per la Costituzione e vedo come vogliono mettere le mani sul Paese. Ma non ci riusciranno. Con la Rivoluzione abbiamo acquisito qualcosa di importante: la paura è venuta meno. Il faraone non spaventa più. Non fa più paura il Profeta, o Cristo, o qualunque Dio. Vogliamo la libertà e la giustizia, la dignità, il pane. I Fratelli Musulmani non hanno ancora rinunciato al loro progetto. Ma il presidente, Mohammed Morsi, comincia ad essere più moderato. Il povero, tuttavia, resta schiacciato tra le due forze, i liberali e gli islamisti. Oggi nessun egiziano ha più paura né del faraone né del governo. Se necessario gli egiziani sapranno fare un’altra Rivoluzione. E, credetemi, temo che sarà necessario se i Fratelli Musulmani non muteranno approccio.

Dunque nulla è compiuto. L’Egitto corre ancora dei rischi?
Sì. Almeno per i prossimi quattro anni dovremo far fronte a gravi rischi. Occorre essere molto chiari circa il futuro. I Fratelli Musulmani devono capire al 100 per cento che non riusciranno a creare in Egitto uno Stato confessionale. Se lo comprenderanno usciremo dalla crisi. Se invece rimarranno sotto l’influenza delle correnti fanatiche, come i salafiti, resteremo impantanati molto a lungo. Bisogna che capiscano che per la maggioranza degli egiziani, per molte donne, per gli intellettuali, per la gente del cinema, per tutti coloro che sono abituati a pensare, la paura è morta una volta per tutte.

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