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Il patriarca Kirill pellegrino in Terra Santa

Marie-Armelle Beaulieu
12 novembre 2012
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Il patriarca Kirill pellegrino in Terra Santa
Il patriarca Kirill presiede una celebrazione liturgica davanti all'edicola del Santo Sepolcro. (foto: Patriarcato ortodosso russo)

Si sta svolgendo in questi giorni - dal 9 al 14 novembre - il pellegrinaggio in Terra Santa del patriarca Kirill I, capo spirituale della Chiesa ortodossa russa. Il viaggio riconferma una tradizione consolidata per i patriarchi di Mosca e si inquadra in una nuova e feconda stagione della presenza ortodossa russa nella regione.


(Gerusalemme) – Si sta svolgendo in questi giorni (dal 9 al 14 novembre) il pellegrinaggio in Terra Santa del patriarca Kirill I, capo spirituale della Chiesa ortodossa russa. Il viaggio riconferma una tradizione consolidata per i patriarchi di Mosca. In epoca recente hanno visitato i Luoghi Santi Alessio I (nel 1945 e nel 1960) e Pimen (nel 1972 e agli inizi del 1991).

Lo stesso Kirill si è recato numerose volte a Gerusalemme prima di essere eletto patriarca, anche in qualità di membro delle delegazioni che accompagnavano i due predecessori. In seguito, e per diversi anni, Kirill ha continuato a visitare la Città Santa ogni mese. Le visite si interruppero nel 2005 quando avvenne la deposizione del patriarca greco ortodosso di Gerusalemme, Ireneos I. Kirill ritornò come capo della delegazione del patriarcato di Mosca presente all’intronizzazione del successore di Ireneos, Theophilos III.

Il viaggio di questi giorni non è quindi qualcosa di inedito, ma è comunque storico a suo modo perché coincide con una nuova fase della presenza russo ortodossa in Terra Santa.

Le statistiche ufficiali calcolano 23 mila russi ortodossi in Israele, ma dopo il massiccio arrivo, negli anni Novanta, di migranti dai Paesi del blocco ex-sovietico, i competenti uffici israeliani valutano che siano all’incirca 300 mila gli israeliani non ebrei (e non arabi – ndr). Gran parte di costoro sarebbero russi ortodossi che hanno preferito non dichiarare, per ragioni personali, la propria religione.

Avendo un legame di parentela diretta con un ebreo questi russi hanno potuto avvalersi della Legge del ritorno (che riconosce agli ebrei di tutto il mondo e ai loro congiunti più stretti il diritto di immigrare in Israele e ottenerne la cittadinanza – ndr). Le motivazioni che hanno spinto queste persone sono certamente complesse, ma hanno trovato un terreno favorevole nell’ancestrale attrazione che Gerusalemme esercita sul popolo russo.

Alimentata da una spiritualità bizantina, la Chiesa ortodossa di Russia ha sempre riservato uno spazio privilegiato a Gerusalemme. Non solo perché essa è la città che ha visto il compimento della vita terrena di Gesù con la sua morte e risurrezione, ma anche perché nella Tradizione cristiana la Gerusalemme terrestre è prefigurazione di quella celeste, come «visione di pace». Numerosi russi si recano quindi in Terra Santa con il desiderio di vivere laggiù «una santità simile a nessun altra», per usare un’espressione tratta dai celebri Racconti di un pellegrino russo.

Se nel Diciassettesimo secolo lo zar Pietro il Grande sognava di trasferire la tomba di Cristo a San Pietroburgo e Mosca, sotto l’impulso del patriarca Nikon, si concepiva come Nuova Gerusalemme, l’apertura della Palestina nel Diciannovesimo secolo e la possibilità concessa alle comunità straniere di stabilirsi nella Città Santa hanno cambiato le cose.

Anziché trasferire altrove pezzi di Gerusalemme, sarà la città stessa ad essere raggiunta dalla grandezza russa. Si trattava tanto di rafforzare la comunità cristiana ortodossa in Terra Santa quanto di ravvivare quella dell’ortodossia russa mediante l’esperienza dei pellegrinaggi. Così la Russia cominciò ad acquisire terreni per costruirvi conventi e case di ospitalità come la Casa della Russia e la cattedrale della Santa Trinità in quello che oggi a Gerusalemme è noto come Russian Compound (a pochi passi dal moderno palazzo del municipio – ndr).

Nel 1882, lo zar Alessandro III dota la Russia di una Società imperiale ortodossa di Palestina e pone al suo vertice il fratello granduca Sergei Alexandrovitch. La Società ha tra i suoi compiti principali l’accoglienza dei pellegrini, lo studio della Palestina, la conservazione del patrimonio spirituale, lo sviluppo dell’ortodossia russa tramite l’azione di missionari inviati tanto tra i cristiani quanto tra gli ebrei di Palestina. Ma essa è anche collegata a tutta una serie di antenne nelle 63 diocesi russe dell’epoca. Durante le cosiddette «riunioni di lettura» i rappresentanti della Società diffondono conoscenze e informazioni sulla Palestina, incoraggiano i pellegrinaggi e raccolgono donazioni per la Terra Santa. Si calcola che nel 1902-1903 siano state realizzate almeno 30 mila conferenze che hanno raggiunto un uditorio di 5 milioni di persone.

Sul finire del Diciannovesimo secolo, in alcuni anni i pellegrini russi a Gerusalemme hanno superato il numero di 10 mila. Alla vigilia della prima guerra mondiale si era raggiunta la quota 150 mila. La rivoluzione (bolscevica) del 1917 portò gli interessi russi in Palestina a segnare il passo. Ma la Chiesa russa ortodossa non ha mai dimenticato Gerusalemme, come dimostra il ripetuto tornare dei suoi patriarchi alla Città Santa anche in epoca sovietica.

Neppure il regime ha trascurato la Palestina o Israele. Nel cuore della guerra fredda, ha saputo tener vivi gli antichi legami con il Medio Oriente. L’adesione agli ideali comunisti di alcuni leader palestinesi, siriani ed egiziani ha contribuito a rinsaldare i legami tra arabi e sovietici, ma questi ultimi non potevano lasciare che Israele si buttasse corpo e anima nelle braccia dell’Occidente. La politica sovietica riguardo al conflitto israelo-palestinese ha così assunto sfumature sottili e complesse.

Con la caduta della Cortina di ferro e rispondendo al pressante appello dello Stato ebraico, oltre un milione di russi ha approfittato della Legge del ritorno per andare a stabilirsi in Israele. Per dare un’idea sarebbe come se la Francia (o l’Italia – ndr) si trovasse ad accogliere nel giro di una decina d’anni circa 12 milioni di nuovi cittadini di uno stesso gruppo etnico.

Un simile apporto demografico e l’attitudine dei nuovi immigrati russi a coltivare la propria specificità, ha profondamente segnato lo Stato di Israele. I russi israeliani hanno i loro quartieri, i loro giornali, le loro radio e televisioni in lingua russa, la loro orchestra, il loro partito politico… Sono sì israeliani, ma restano russi e costringono lsraele a far i conti con le differenze che essi portano con sé e a portare avanti il percorso di accompagnamento e integrazione.

La Chiesa russa segue i passi del governo moscovita: sulle orme di Putin, che ha visitato Israele in giugno, ora tocca la patriarca Kirill far visita al suo gregge. E anche lui, come il presidente, presterà attenzione tanto agli israeliani quanto ai palestinesi, perché gli interessi russi si riflettono su entrambi i versanti della linea verde.

Lo testimonia l’omaggio che il patriarca ha reso al presidente dell’Autorità Nazionale Palestinese Mahmoud Abbas, nel corso della sua visita a Mosca del gennaio scorso. In quell’occasione gli ha consegnato il Premio della Fondazione per l’unità dei popoli ortodossi. «È un gesto d’alto valore simbolico – commentava il patriarca – dal momento che lei non è ortodosso. Noi vorremmo in questo modo esprimere la nostra riconoscenza per ciò che fate per salvaguardare i luoghi santi e per sostenere la vita religiosa in Terra Santa, inclusa quella degli abitanti russi ortodossi». Il patriarca ha anche voluto felicitarsi per l’ammissione della Palestina nell’Unesco come membro a pieno titolo, evento che testimonia, secondo Kirill, «il riconoscimento dello Stato palestinese da parte della comunità internazionale». Il capo della Chiesa russa si è detto soddisfatto del crescente numero di pellegrini cristiani ortodossi che si recano in Palestina.

In un editoriale a commento della visita l’emittente radiofonica La voce della Russia osservava che «la cooperazione culturale e umanitaria tra la Russia e l’Autorità Palestinese ha assunto una dimensione nuova dal punto di vista qualitativo, e ciò è dovuto in larga misura agli sforzi di Mahmoud Abbas. Da quando egli è a capo dell’amministrazione palestinese, la Chiesa ortodossa russa ha potuto recuperare vari terreni che le appartenevano, oltre ad alcuni edifici acquistati dal governo russo sul finire del Diciannovesimo secolo. Si tratta di proprietà situate a Gerico e a Betlemme. Sono anche sorti vari centri culturali e religiosi russi che si affiancano a una scuola russa destinata ai giovani palestinesi. Mahmoud Abbas rispetta il proprio impegno di ristabilire la presenza russa in Medio Oriente, venuta meno nella tormentata era sovietica. I palestinesi amano la Russia e la considerano un alleato politica».

Il viaggio in Terra Santa di Kirill non è dunque privo di significato e va oltre il semplice pellegrinaggio.

Quanto meno questa visita potrebbe contribuire a ricomporre lo iato fra le comunità ortodosse di Terra Santa: un’ortodossia russa, fortunata, maggioritaria e potente – malgrado la volontaria discrezione dei suoi fedeli – e un’ortodossia greca con dirigenza ellenica resa ancora più fragile dalla crisi che ha messo in ginocchio la madrepatria e una comunità di fedeli arabi che condividono sì la stessa fede dei fratelli di fede russi, ma non il loro apprezzamento nei confronti dello Stato ebraico.

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