La sera del 21 novembre un cessate il fuoco mediato da Egitto e Stati Uniti ha posto fine alle ostilità tra Hamas e Israele. In base all'accordo firmato al Cairo, entrambi gli attori devono fermare ogni tipo di attività militare ed Israele deve porre fine agli omicidi mirati e facilitare il movimento delle persone e merci all'interno di Gaza, dove però la situazione resta molto difficile.
(Betlemme) – La sera del 21 novembre un cessate il fuoco mediato da Egitto e Stati Uniti ha posto fine alle ostilità tra Hamas e Israele. In base all’accordo firmato al Cairo, entrambi gli attori devono fermare ogni tipo di attività militare ed Israele deve porre fine agli omicidi mirati e facilitare il movimento delle persone e il trasferimento delle merci all’interno di Gaza.
Secondo l’ultimo rapporto pubblicato ieri, 22 novembre, dall’Agenzia Onu per le questioni umanitarie (Ocha), durante l’offensiva israeliana contro la Striscia, iniziata il 14 novembre con l’uccisione del capo dell’ala armata di Hamas, Ahmad Al-Ja’bari, sono stati uccisi 158 palestinesi (108 civili), di cui almeno 33 bambini e 13 donne, e 6 israeliani (4 civili). I pesanti bombardamenti dei giorni scorsi, hanno distrutto o severamente danneggiato 298 case palestinesi e 90 abitazioni israeliane.
A Gaza, migliaia di persone sono state costrette ad abbandonare le proprie case e hanno cercato rifugio nelle scuole dell’Agenzia Onu per il soccorso ed il lavoro dei rifugiati palestinesi (Unrwa). «Già prima dell’ultima recrudescenza della violenza a Gaza c’era una crisi umanitaria in corso – ha dichiarato Chris Gunness, portavoce dell’Unrwa – e quest’ultimo conflitto non ha fatto altro che peggiorare la situazione».
«In questi giorni abbiamo dovuto bere l’acqua del rubinetto, che è salata ed inquinata», ha raccontato Mahmoud Sa’adallah, 32 anni, padre di cinque figli, di Beit Lahiya, una delle zone più colpite dai bombardamenti israeliani. Mahmoud, come la maggior parte dei palestinesi che vivono a Gaza, è costretto a comprare l’acqua desalinizzata da venditori privati poiché la falda acquifera sotto la fascia costiera della Striscia è inquinata.
Il 18 novembre un attacco aereo israeliano ha colpito e completamente distrutto un autobotte per la distribuzione dell’acqua uccidendo l’autista Suheil Hamada e il figlio. Da allora, fino alla tregua del 21 novembre, la maggior parte dei venditori privati ha smesso la consegna d’acqua nelle case per paura di nuovi attacchi.
«Mio padre è malato, ha bisogno di cure mediche, ma durante l’offensiva non siamo riusciti a raggiungere l’ospedale. Avevamo paura di morire – ha raccontato Hanin Al-Masri, 25 anni, di Gaza City -. Il mio pensiero va a tutte le persone che sono state ferite in questi giorni e che non sempre hanno potuto ricevere le cure mediche necessarie a causa del blocco che Israele impone alla Striscia di Gaza da più di cinque anni».
Da quando Hamas ha preso il potere a giugno 2007, Israele ha isolato la popolazione di Gaza, controllando importazioni ed esportazioni e limitando la consegna di beni essenziali e di aiuti umanitari. «Abbiamo sempre fatto pressione perché il blocco venisse tolto – osserva Gunness – perché esso rappresenta una punizione collettiva per il milione e mezzo di palestinesi della Striscia. Ora bisogna capire quali sono le nuove misure decise in merito al blocco».
A Gaza sono in pochi a credere che il cessate il fuoco deciso mercoledì possa migliorare la situazione della popolazione. Ed è di questa mattina la notizia che l’esercito israeliano ha aperto il fuoco contro alcuni contadini palestinesi che si stavano dirigendo nei loro campi nella zona cuscinetto nel sud della Striscia. Un morto e sette feriti.