La vicenda della sua Assemblea Costituente è il simbolo più eloquente e istruttivo delle trasformazioni che oggi sta vivendo l'Egitto: della sfiducia che persiste, nonostante la rivoluzione del 2011, nei rapporti tra islamisti, laici e cristiani. E dei molti ostacoli che ancora il Paese dovrà superare prima di raggiungere una forma democratica di convivenza, soddisfacente per tutti.
(Milano) – La vicenda della sua Assemblea Costituente è il simbolo più eloquente e istruttivo delle trasformazioni che oggi sta vivendo l’Egitto: della sfiducia che persiste, nonostante la rivoluzione del 2011, nei rapporti tra islamisti, laici e cristiani. E dei molti ostacoli che ancora il Paese dovrà superare prima di raggiungere una forma democratica di convivenza, soddisfacente per tutti.
Nelle prossime settimane, il testo della nuova Costituzione potrebbe essere consegnato nelle mani del presidente Mohamed Morsi e, dopo il vaglio di un referendum popolare, entrare in vigore.
Il fatto è, però, che il testo che sta per essere licenziato, corre il rischio di non rappresentare davvero tutte le componenti della società egiziana, come dovrebbe invece fare una legge costituzionale.
L’attuale Assemblea Costituente è la seconda, in un anno, che si insedia faticosamente in Egitto. La prima, di brevissima durata, venne sciolta lo scorso aprile in seguito a una sentenza che ne sanciva l’incostituzionalità (sentenza arrivata dopo una pioggia di critiche dall’opinione pubblica egiziana, motivate dal fatto che l’ampia maggioranza dei membri chiamati a far parte dell’Assemblea fosse di estrazione islamista e nella condizione di imporre la stesura di un testo con un forte accento religioso). Dopo un paio di mesi, a giugno, finalmente si trova un accordo per insediare una nuova Assemblea – quella attualmente all’opera -, in cui i rappresentanti islamisti scendono a meno della metà dei membri complessivi e dove sono rappresentate tutte le componenti della società civile egiziana: musulmani, cristiani e laici.
Nonostante il promettente inizio, l’Assemblea nei sei mesi in cui lavora è teatro di scontri e battaglie, che portano alle dimissioni, in questo mese di novembre, dei suoi componenti laici e cristiani in polemica con i colleghi musulmani su tre questioni di fondamentale importanza per uno Stato che aspira a diventare una democrazia moderna: la prima è quella dell’articolo 2, che tratta i rapporti tra Stato e religione islamica; la seconda riguarda i meccanismi di funzionamento dell’Assemblea, che sembrano non garantire tutti; la terza è quella della libertà di stampa.
Tutti i rappresentanti delle Chiese egiziane (copta ortodossa, cattolica ed evangelica) si sono dimessi in blocco lo scorso 15 novembre, constatando come non fosse possibile raggiungere un’intesa sul testo dell’articolo 2. Il testo attualmente approvato dall’Assemblea recita così: «La religione dello Stato è l’Islam; la lingua ufficiale è l’arabo; e i princìpi della sharia islamica costituiscono la fonte principale per la legge egiziana». Il testo è lo stesso della Costituzione egiziana del 1971 ed è quello che anche la Chiesa vorrebbe mantenere. «I copti egiziani sono favorevoli a mantenere il testo dell’articolo 2 della costituzione del 1971», ha dichiarato il papa copto neoeletto, Tawadros II, all’inizio del mese. Aggiungendo che la Chiesa, su questo punto, è in accordo con l’università islamica di al Azhar. Il fatto che il testo dell’articolo si riferisca solo ai «princìpi della sharia» e non direttamente alla sharia è considerato dai cristiani la garanzia di poter ottenere un sistema legislativo non strettamente islamico. Gli islamisti nell’Assemblea Costituente, però, hanno avanzato una pioggia di emendamenti in cui propongono l’introduzione di ulteriori articoli esplicativi dell’articolo 2, in cui si spieghi come i «princìpi» di cui si parla, provengono precisamente dal Corano e dagli Hadit (ovvero i detti del Profeta e le leggi delle quattro scuole islamiche), ponendo i presupposti per ispirare una scrittura più strettamente islamica delle leggi dello Stato. Così le Chiese egiziane, non vedendo spiragli nel dialogo, lo scorso 15 novembre hanno ritirato i propri rappresentanti dall’Assemblea. La decisione è stata comunicata al giudice Hussam al-Ghiryani, presidente della Costituente, con una dichiarazione ufficiale. Il motivo del ritiro, secondo la dichiarazione, è la deviazione dell’Assemblea dalla stesura della Costituzione in modo patriottico e consensuale. La dichiarazione dà conto di come le Chiese egiziane abbiano partecipato serratamente alle sedute dell’Assemblea e abbiano valutato con cura la reazione delle differenti istituzioni dello Stato, dell’opinione pubblica egiziana, e in particolar modo copta, al lavoro della Costituente. «Le Chiese egiziane hanno colto un generale senso di malessere – spiega la dichiarazione – per la direzione che la nuova bozza di Costituzione stava prendendo. Abbiamo concluso che il testo proposto, nella forma attuale, non è capace di raccogliere lo sperato consenso generale e non esprime la tipica diversità egiziana. E pensiamo che questo sia un allontanamento dall’eredità costitutiva dell’Egitto, creata con diligenza dai musulmani e i cristiani del Paese e che sia una limitazione per i diritti, le libertà e la cittadinanza che gli egiziani hanno acquisito nel corso degli anni».
Lo stesso «senso di malessere» descritto dalle Chiese sembra essere la causa delle dimissioni, avvenute negli stessi giorni, di una trentina di membri laici dell’Assemblea. Dimissioni che erano state precedute da una forte protesta capitanata da Amr Moussa, ex segretario generale della Lega Araba e membro dell’assemblea. Moussa, all’inizio di novembre, aveva minacciato le dimissioni denunciando la cattiva gestione dell’Assemblea: in particolare si lamentava l’imposizione della scadenza temporale di due settimane, entro le quali la nuova costituzione egiziana sarebbe dovuta essere approvata, Secondo Moussa, accettare un tempo così ristretto avrebbe significato licenziare il testo in modo troppo frettoloso: «Il presidente dell’assemblea, Hossam El-Gheriany, – sosteneva Moussa – ha indicato il 7 novembre come data limite per depositare emendamenti scritti; e il giorno 8 per scrivere una bozza definitiva. Come se fosse sufficiente solo un giorno per valutare gli emendamenti proposti dai membri dell’assemblea». Amr Moussa, secondo il settimanale on line Al Ahram, ha sollevato anche una critica rispetto alla scelta – attuata dal presidente El-Gheriany – dei sei membri del comitato ristretto che avrà il compito di scrivere la versione finale del testo. Secondo Amr Moussa la loro scelta si è basata su interessi di parte; il comitato andrebbe invece aperto ad altri partecipanti, in modo da essere «più bilanciato e obiettivo». In particolare, tra i sei membri, quello che viene presentato da El-Gheriany come un grande esperto (Hamed Hassan, islamista e professore di diritto costituzionale) avendo già collaborato alla scrittura di diverse costituzioni nazionali, secondo Moussa non sarebbe credibile: «L’esperienza di Hassan – spiega Moussa – in realtà è limitata al contributo di scrittura per Costituzioni di paesi islamici come il Pakistan e l’Afganistan». Paesi, cioè, provvisti di Costituzioni alle quali laici e cristiani in Egitto non vogliono ispirarsi.
Infine la libertà di stampa: anche il Consiglio del sindacato dei giornalisti egiziano ha annunciato in novembre il proprio ritiro dall’Assemblea Costituente, spiegandolo con il rifiuto da parte dell’Assemblea di tenere in considerazione le proprie raccomandazioni. Il Consiglio ha criticato quelle che considera delle violazioni di libertà di espressione presenti nell’attuale bozza di Costituzione. Inoltre ha criticato l’indifferenza dimostrata dall’Assemblea rispetto alla protezione dell’indipendenza della stampa, alla proibizione della chiusura dei punti di vendita dei giornali o alla confisca dei quotidiani.
Se quindi, nelle prossime settimane, sarà licenziato il testo della nuova Costituzione egiziana, questo sarà il frutto di un’Assemblea amputata di alcune delle sue componenti importanti: quella cristiana, laica e della stampa indipendente. È un’illusione pensare che sia breve la strada che conduce ad un Egitto pienamente democratico.