Reca la data del 7 ottobre, festa di Nostra Signora del Rosario, la Lettera pastorale per l’Anno della fede che gli ordinari cattolici di Terra Santa, di comune accordo, hanno indirizzato ai fedeli. I vescovi chiedono alle loro comunità di Terra Santa di prendere coscienza del compito d'essere cristiani in Terra Santa.
(Milano/g.s.) – Reca la data del 7 ottobre, festa di Nostra Signora del Rosario, la Lettera pastorale per l’Anno della fede che gli ordinari cattolici di Terra Santa, di comune accordo, hanno indirizzato ai loro fedeli.
Il testo parte da un versetto della Lettera agli Ebrei – «La fede è fondamento delle cose che si sperano e prova di quelle che non si vedono» (Eb 11, 1) – ed evoca come circostanze felici e di buon auspicio il cinquantesimo anniversario dall’apertura del concilio Vaticano II, il ventesimo del Catechismo della Chiesa cattolica, la recente pubblicazione dell’esortazione apostolica Ecclesia in Medio Oriente e il Sinodo dei vescovi sulla nuova evangelizzazione in corso in questi giorni in Vaticano.
La lettera è un testo tutto sommato sintetico, articolato in 6 punti.
Cruciale è l’interrogativo di partenza: «Che cosa significa essere “un segno vivo della presenza del Signore risorto” nella nostra terra, la terra chiamata santa, che è legata intimamente alla storia di questa fede?» (n. 2).
«La nostra terra, forse più di ogni altra, – scrivono i capi delle comunità cattoliche della regione – è chiamata ad irradiare la fede. Milioni di persone vengono qui a rinnovare la loro fede visitando i Luoghi Santi. Eppure noi, le “pietre vive” di questa Terra Santa, chiamati ad essere custodi dei Luoghi Santi e ad animarli con le nostre preghiere e suppliche, con la diversità dei nostri riti e con la fedeltà della nostra continua bimillenaria testimonianza, siamo chiamati ad essere in un modo esemplare “popolo di fede”. L’Anno della Fede è un’opportunità benedetta per riflettere su come noi, sia come singoli credenti che come Chiesa, possiamo essere “segno vivo della presenza del Signore risorto” in questa terra e nel mondo». (ib.)
La Lettera prosegue esaminando in sintesi i doni e le positività che caratterizzano oggi la Chiesa cattolica in Terra Santa: il costante flusso di pellegrini, «che sono per noi un richiamo costante alla geografia privilegiata in cui viviamo»; la presenza di decine di ordini e congregazioni religiose con «il loro servizio devoto, attraverso le loro scuole, università, ospedali, cliniche, orfanotrofi, case per anziani e per disabili e centri di spiritualità; «i monasteri contemplativi che sono centri vitali di preghiera sparsi in tutta la nostra terra»; i movimenti e le nuove comunità, che «vibranti di vita nuova, affollano la nostra terra, offrendo la loro esperienza del Signore risorto e le loro risorse per il rinnovamento». Il testo segnala anche, quale fattore positivo, l’immigrazione di tanti cristiani da Paesi più poveri o insicuri: «i cristiani locali sono chiamati ad aprirsi e ad aprire le loro chiese a questi nuovi arrivati, al fine di creare “le condizioni che portano a questo incontro tra la persona e Gesù Cristo”. Inoltre, dalle loro tradizioni e culture questi migranti portano ricchezze che possono aiutare nel rinnovamento della fede». (cfr n. 3).
La lettera pastorale si sofferma brevemente sui problemi a tutti noti: la violenza, l’ingiustizia, l’occupazione, l’insicurezza, i muri e i posti di blocco, la sofferenza di coloro che «languono nelle carceri, soffrono discriminazione, piangono i loro cari, anelano ai propri familiari ai quali non possono essere riuniti, vivono nella paura e nell’ansia» (n. 4). In un simile contesto, dominato dalle tradizioni religiose dell’Islam e del giudaismo, la minoranza cristiana si sente sempre più emarginata. «Intorno a noi si sta come sgretolando un mondo conosciuto – scrivono gli ordinari – e dittatori potenti vengono destituiti, il futuro appare incerto quando correnti sotterranee, in passato trattenute, si scatenano. Molti dei nostri fratelli e sorelle nella fede hanno scelto di emigrare lasciando le nostre comunità ancora più povere e fragili. Il mondo intorno a noi a volte appare molto minaccioso. Per quanto riguarda la fede, cerchiamo di coltivarla, la nostra sfida più grande è la disperazione. È in questo contesto specifico, con tutte le sue non comuni sfide, che dobbiamo concepire in modo creativo e profetico una “nuova” evangelizzazione (…) Le nostre chiese non devono diventare ghetti chiusi dove ci separiamo dal mondo minaccioso che ci circonda, ma piuttosto centri pulsanti di vita, di attività e di celebrazione». (n. 4)
Pur in mezzo a tante asperità, i cristiani sono chiamati ad essere «un segno vivo della presenza del Signore risorto», raccogliendo la non facile «sfida di parlare un linguaggio di fede che promuova anche la giustizia, la pace, il perdono, la riconciliazione e, soprattutto, la speranza, lì dove il mondo e il suo linguaggio riflettono solo la disperazione. Questo linguaggio deve essere confermato da coraggiosi atti di fede che favoriscano la guarigione e la costruzione di ponti ad ogni livello della nostra vita. È precisamente questa la lingua che parliamo e gli atti che compiamo quando celebriamo l’Eucaristia – l’offerta di sé di Cristo per la nostra salvezza e per la salvezza del mondo» (n. 4).
I capi delle Chiese propongono a tutti i membri delle loro comunità di intensificare l’impegno, in questo Anno della fede, a edificare comunità cristiane che irradino amore; a promuovere la collaborazione e la comune testimonianza all’interno della Chiesa cattolica; a rafforzare le relazioni ecumeniche e la condivisione fraterna con tutti gli altri cristiani; a osare costruire e rafforzare relazioni con tutti i credenti in questa terra, musulmani, ebrei e drusi; a cercare tutti i nostri fratelli e sorelle in umanità affinché possiamo lavorare insieme per una società che offra a ciascuno il suo posto, nella dignità, nella sicurezza, nella giustizia e nella pace; ancor prima di tutto questo, a tener vive la gioia e la speranza, «la cui assenza è di fatto il principale ostacolo alla nostra vocazione in questa nostra Terra» (cfr n. 4).
Segue, prima delle conclusioni, una serie di suggerimenti pratici al popolo di Dio: L’Anno della Fede dovrà essere punteggiato da celebrazioni particolari (alcune delle quali verranno annunciate più avanti dagli stessi vescovi); bisognerà celebrare i sacramenti con un’accresciuta consapevolezza del loro significato; si potrà tornare con un atteggiamento da pellegrini ai luoghi santi della fede che i cristiani di Terra Santa incontrano sovente sulla loro strada; sarà bene studiare e approfondire la conoscenza della Sacra Scrittura, del Catechismo della Chiesa cattolica e di alcuni testi del Magistero (come i piani pastorali delle Chiese locali e l’esortazione apostolica Ecclesia in Medio Oriente). Occorrerà altresì puntare sulla formazione permanente dei credenti; intensificare la collaborazione tra i sacerdoti, sostenere il cammino dei giovani, affinare la sensibilità cristiana degli operatori dei media cattolici; curare particolarmente le iniziative ecumeniche (crf n. 5).
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