A dispetto della mole imponente, fra Feras ha lo sguardo mite di un bambino. Lo accompagno una mattina, insieme a due missionarie della Carità (le suore di Madre Teresa) nel consueto giro per ospedali ed ammalati. Prima al nosocomio luterano di Gerusalemme (l’Augusta Victoria, che vanta oltre un secolo di vita), dove entra ed esce dai reparti con un sorriso per tutti, amministra i sacramenti e conforta i parenti. Nella grande struttura che domina la città vecchia, sono ricoverati soprattutto arabi di Gerusalemme Est. «Musulmani e cristiani, uniti dal Calvario della malattia», spiega il religioso, mentre con la sua auto si incunea nelle strade strette che scendono dal Monte degli Ulivi.
Neppure il tempo per un caffè, ed eccolo ripartire per una visita ad alcune famiglie che vivono particolari situazioni di dolore o disagio: un figlio gravemente handicappato, un anziano non più autosufficiente, una mamma in difficoltà… «Cerco di essere loro vicino, di fare sentire che la Chiesa li sostiene e che l’amore di Cristo guarisce anche le ferite più profonde».
Lui, fra Feras Hejazin è il parroco francescano di San Salvatore, la parrocchia latina di Gerusalemme. Giordano, poco più che quarantenne, dopo un lungo periodo trascorso nella parrocchia di Gerico (cfr Terrasanta, maggio-giugno 2010) è a Gerusalemme ormai da un paio d’anni, come responsabile della comunità cristiana più numerosa e vivace della Città Santa. «Una realtà complessa, non sempre facile da capire, sconosciuta ai più», mi dice guardandomi dritto con i grandi occhi azzurri, mentre nell’ufficio parrocchiale, da cui si scorge a poche centinaia di metri la grande cupola del Santo Sepolcro, non smette di squillare il telefono.
E allora, proprio per capire questa realtà «sconosciuta ai più», mi accodo nel giro pressoché quotidiano che fra Feras fa tra la gente del suo quartiere, tra viottoli e case accalcate una a ridosso dell’altra, angusti cortili, scale ripide e i tanti suoni e rumori della vita che pulsa nel cuore di Gerusalemme.
«I pellegrini passano di qui – dice indicando le due strade principali che da Porta Nuova e dalla Porta di Jaffa scendono verso il Sepolcro – ma ignorano che in questi viottoli, in queste case, vivano dei cristiani come loro. E ignorano quasi del tutto la loro condizione. Vuoi rendertene conto?».
A cento metri dall’ingresso della parrocchia latina, sulla strada che porta il nome di San Francesco, un primo carruggio svolta a sinistra. E da lì si apre un mondo: bambini che giocano al crocicchio tra due strade, sotto un portone dove, nella pietra, è incisa la croce di Terra Santa. Famiglie che condividono lo stesso tetto, in case anguste e spesso umide. Piazzette di cui non sospetteresti l’esistenza sulle quali si affacciano bambine curiose da dietro le finestre, donne anziane che sgranano rosari e giovani mamme con bambini al collo. E poi il vociare dei ragazzi all’ingresso delle scuole, tra cui quella gestita dalla Custodia di Terra Santa.
Da un caseggiato risuonano colpi di martello e alcuni muratori escono spingendo una carriola. «Abuna», gli viene incontro salutando un operaio. «La Custodia di Terra Santa – spiega fra Feras – sta da tempo sistemando gli immobili di sua proprietà nel quartiere, per offrire una sistemazione più decorosa alle tante famiglie cristiane che vivono in case malsane quando non fatiscenti. Questo impegno si sposa con la cosiddetta Opera delle case, che ha permesso di costruire a Betfage e a Beit Hanina dei nuovi caseggiati per le famiglie di Gerusalemme».
La famiglia è indubbiamente al centro dell’impegno pastorale della parrocchia di San Salvatore. Lo si tocca con mano nella cura che fra Feras e l’équipe pastorale che lo affianca (di cui fa parte anche un diacono) mettono nella preparazione delle giovani coppie al matrimonio: 10 incontri dove vengono affrontati i temi legati al sacramento e alla fede cristiana, ma anche le problematiche psicologiche e relazionali della vita a due… Il Centro famigliare e il Consultorio sono poi due strumenti di ascolto a servizio di tutti coloro che, nel cammino del matrimonio o nel complicato compito di genitori, dovessero incontrare difficoltà. «Il lavoro, la casa, le ristrettezze economiche… I nostri cristiani di Gerusalemme vivono certamente in un contesto difficile. Gli spazi sono spesso angusti… E ai bambini manca perfino lo spazio per giocare!».
Sarà per questa ragione che decine di famiglie negli ultimi anni, da Gerusalemme, ma anche da altre zone della parrocchia (che si spinge da un lato fino al muro di separazione, verso Ramallah; dall’altro fino ai confini di Betlemme), si sono trasferite a Beit Hanina, dove sorge una succursale della parrocchia. E dove ampi spazi (tra cui il campo da calcio), aule parrocchiali e sale per incontri e feste, offrono ogni giorno a bambini, adolescenti, giovani, e famiglie la possibilità di stare insieme e di crescere nella fede. Fra Nerwan Al Banna, iracheno, è l’animatore instancabile di questa realtà vivace, dove si accalcano nei giorni di festa (il venerdì, specialmente) i ragazzi cristiani di Beit Hanina. «Vengono qui da noi non solo i cattolici latini, ma anche i melchiti. E alcuni fedeli delle Chiese ortodosse. Per noi non fa differenza», mi racconta mentre mi mostra i bei locali del convento di San Giacomo, attrezzato anche per ospitare gruppi di pellegrini, che qui possono sostare per il pranzo, la celebrazione eucaristica e l’incontro con la comunità cristiana locale.
Fra Newan viene da Mossul, l’antica Ninive, e si è buttato con entusiasmo nella pastorale giovanile di questo popoloso quartiere alla periferia di Gerusalemme. Qui, come in città vecchia, si ritrovano i gruppi degli universitari, la Gioventù operaia cristiana, gli scout, la Gioventù francescana…. «Per me iracheno scampato al dramma della guerra nel mio Paese, non è difficile capire lo stato d’animo di questi fratelli palestinesi. E le loro difficoltà. La nostra sfida di ogni giorno è quella di instillare speranza nel cuore di questa gente, specie dei giovani. E cercare di contenere la tentazione di andarsene per sempre dalla loro terra».
La parrocchia di Gerusalemme, circa 6 mila fedeli sparsi tra la città vecchia, Beit Hanina, Beit Safafa, Betfage e Betania, continua ad essere uno dei polmoni vitali della presenza cristiana in Terra Santa. Un luogo da cui non si può prescindere se si intende accostare la Terra Santa in maniera non frettolosa. «Gerusalemme – si inserisce fra Feras – è il luogo dove la Chiesa ha avuto inizio e dove si è formata la prima comunità cristiana. Noi, cristiani di Gerusalemme, siamo una sorta di ponte che collega la Chiesa sparsa in tutto il mondo alle sue radici. Per questo mi sento di lanciare una proposta alle comunità cristiane: venite a visitarci, stringete con noi legami di amicizia e collaborazione. Noi saremo fortificati dal vostro sostegno. Voi avrete una ragione in più per guardare con attenzione e fede alla città dove Dio ha voluto incontrare l’uomo».