Questo libro raccoglie dodici brevi racconti di giovani scrittori arabi contemporanei, che vivono le fatiche e le contraddizioni di una società, quella israeliana, segnata dal conflitto. La raccolta copre un arco temporale che va dagli anni Ottanta ad oggi. L'antologia restituisce la complessità, lo spaesamento e le mille sfaccettature della vita quotidiana della minoranza arabo-israeliana.
«Qui finisce la terra, qui comincia. Sopra un metro quadrato di burro o di fronte a una donna alla quale vorresti dire: amo i tuoi occhi. Così, senza nessuna ragione».
Dal racconto di Bashir Shalash prende il titolo la raccolta antologica di scrittori palestinesi in Israele curata da Isadora D’Aimmo, esperta di letteratura araba contemporanea, e docente presso l’Università di Firenze.
Un volume che raccoglie dodici brevi racconti di giovani scrittori arabi contemporanei, che vivono le fatiche e le contraddizioni di una società, quella israeliana, segnata dal conflitto. E che affrontano, con le lenti della propria storia personale e della cultura arabo-palestinese, i temi legati alla terra, all’amore, all’identità, alla famiglia, all’occupazione e alla modernità.
I testi offerti nella raccolta, realizzata in occasione del festival Philastiniat, arte e cultura dalla Palestina – svoltosi dal 3 al 6 ottobre a Milano –, coprono un arco temporale molto ampio: dagli anni Ottanta ad oggi. Sono voci molto diverse tra loro, sia per il registro stilistico sia per la struttura narrativa, ma ugualmente interessanti.
Al di là del valore letterario dei testi (alcuni abbastanza deboli, al paragone di opere di scrittori più celebrati), questa antologia restituisce la complessità, lo spaesamento e le mille sfaccettature della vita quotidiana della minoranza arabo-israeliana. Di quella componente della popolazione palestinese che, per le circostanze della storia, si è trovata a vivere dentro lo Stato d’Israele, essendone a volte considerata come un corpo estraneo, il «nemico interno», come bene sottolinea Isabella Camera D’Afflitto nella nota introduttiva al volume. Una condizione che, in qualche caso, finisce per creare una sorta di distonia rispetto alle cose, fino a immaginare una realtà che non esiste se non nei sogni o nelle illusioni. O a chiudersi in una sorta di annichilimento della volontà.
«Qui la terra finisce – prosegue ancora il breve testo di Shalash – e qui inizia. E tu non credi alla gente che ti racconta delle storie e non ascolti l’acqua per scoprire il suo opposto. Ora che sei solo, vorresti esserti innamorato al primo sguardo o al decimo. Ma nel frattempo, ti fidi delle tue illusioni e dei loro spettri. Al punto che puoi restare seduto sulla tua sedia, alla quale leghi piedi e paure, e guardare la galassia esplodere, senza battere ciglio».