Una ventina di profughi eritrei è bloccata da una settimana lungo la linea di confine tra Egitto e Israele, nella penisola del Sinai. I militari eseguono gli ordini del governo e impediscono che oltrepassino la barriera metallica che blinda il confine. Gli operatori umanitari chiedono di poter fornire i primi soccorsi. Tra loro anche la comboniana suor Aziza...
(Gerusalemme/c.d.-m.a.b.) – Suora Aziza prova a commuovere i soldati. Non abbandona mai la sua gentilezza nei negoziati per ottenere di poter aiutare i 20 profughi eritrei bloccati da una settimana lungo la linea di confine tra Egitto e Israele nella penisola del Sinai.
Da tempo suor Aziza (al secolo Azezet Habtezghi Kidané) è volontaria, in Israele, dell’organizzazione Medici per i diritti umani (Physicians for Human Rights – Phr). Cittadina britannica di origini eritree, la religiosa non sa più contenere la sua pena, dopo mesi e anni in cui combatte accanto a Phr per sensibilizzare la gente al traffico sistematico di esseri umani, ai rapimenti e alle torture che i profughi e rifugiati subiscono lungo le rotte che attraversano il Sinai puntando verso Israele. Nel giugno scorso il suo impegno è stato riconosciuto anche dal Dipartimento di Stato americano e il segretario di Stato Hillary Clinton le ha consegnato il Premio degli eroi.
Stanca di aspettare, dopo essere giunta sul posto alle prime ore dell’alba di giovedì, l’équipe di Phr è ripartita quando il governo dello Stato ebraico ha ribadito il proprio rifiuto ad ammettere questo gruppo di profughi sul suolo israeliano. Le informazioni sul loro conto sono contraddittorie. Pare che ricevano razioni di acqua sufficienti a sopravvivere. Secondo alcune associazioni israeliane l’esercito avrebbe ricevuto l’ordine di non fornire cibo, ma solo «la minor quantità d’acqua possibile».
La comboniana suor Aziza non ha voluto andarsene. È attesa la visita di un deputato israeliano che vorrebbe ottenere per gli operatori umanitari l’autorizzazione ad avvicinare i profughi. La religiosa parla amarico e potrebbe fungere da interprete per comprendere quali sia il loro stato di salute, ma le è vietato avvicinarsi all’alta barriera metallica che Israele va costruendo per arrestare il flusso dei migranti che cercano di entrare nel Paese varcando il confine che corre lungo il Sinai.
Israele stima in oltre 62 mila individui il numero di migranti clandestini entro i propri confini giunti dall’Africa. Tra questi gli eritrei sarebbero 35 mila.
Nella primavera scorsa alcuni quartieri di Tel Aviv sono stati teatro di manifestazioni degenerate in violenze razziste contro la presenza di questi immigrati. Ne è nato un vivace dibattito nella società israeliana. Intanto prosegue la costruzione della barriera lungo la frontiera tra Israele ed Egitto: 170 chilometri dei 250 previsti sono stati già realizzati e ciò ha già peggiorato la situazione dei disperati che attraversano il Sinai.
I responsabili della Chiesa cattolica in Terra Santa si sono espressi più volte sul tema, chiedendo alle autorità – tanto di Egitto quanto di Israele – di contrastare i trafficanti di esseri umani che attaccano e brutalizzano i profughi africani nella penisola sinaitica.
Da tempo è nota la condizione di questi sventurati che vengono sequestrati e torturati fino a che i loro parenti non cedono e versano il riscatto richiesto dai rapitori. Ragione sufficiente perché gli eritrei arrivati al confine con Israele non accettino di tornare sui loro passi.
La stessa suor Aziza racconta che «l’81 per cento dei migranti accolti nella clinica di Phr racconta di essere stato imprigionato o tenuto in catene nel Sinai». Secondo le testimonianze raccolte tra i pazienti, nei loro campi di prigionia i trafficanti arrivano a concentrare centinaia di persone, forse tra le 500 e il migliaio.
Da parte sua, il ministro dell’Interno di Israele, Eli Yishai, giustifica la decisione di non deflettere: «Se non ci fosse questa barriera di sicurezza e se non fossimo fermi sulle nostre posizioni, avremmo qui un milione di profughi».
Chiamata in causa mercoledì da un’ong israeliana, a Gerusalemme la Corte suprema ha cominciato ad esaminare la questione, ma non ha ancora emesso alcuna sentenza. Una nuova udienza è fissata per domenica.
Intanto nella serata del 7 settembre le autorità hanno consentito a due donne e a un adolescente di 14 anni di superare la barriera israeliana per ricevere cure urgenti. La sorte dei loro compagni di sventura resta incerta. Salvo che Israele non decida di assumersi le proprie responsabilità di firmatario della Convenzione del 1951 sui rifugiati permettendo ai richiedenti asilo di accedere al suo territorio, come auspica William Tall, rappresentante dell’Alto commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati.
La battaglia di suor Aziza continua.