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Sammak: «Peccato non essere nel Comitato accoglienza per il Papa!»

Manuela Borraccino
10 settembre 2012
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Sammak: «Peccato non essere nel Comitato accoglienza per il Papa!»
Mohammed Sammak

Anche i musulmani libanesi «attendono il Papa con trepidazione», dice Mohammed Sammak, segretario generale del Comitato per il dialogo islamo-cristiano in Libano, che ha espresso «rammarico» per il non coinvolgimento nell’organizzazione del viaggio di Benedetto XVI. In passato lo studioso ha preso parte a due sinodi in Vaticano.


(Beirut) – Anche i musulmani libanesi «attendono il Papa con trepidazione», dice Mohammed Sammak, segretario generale del Comitato per il dialogo islamo-cristiano in Libano, che ha espresso «rammarico» ai capi religiosi cristiani per il non coinvolgimento nell’organizzazione del viaggio di Benedetto XVI. In passato lo studioso ha preso parte attiva al Sinodo per il Libano del 1995 ed era tra i rappresentanti musulmani al Sinodo per il Medio Oriente del 2010.

Dottor Sammak, come vive la comunità musulmana la visita del Papa in Libano?
I musulmani libanesi attendono con amore ed entusiasmo la visita di Benedetto XVI. Proprio per questo, come segno del desiderio della comunità musulmana di ricevere il Papa, ho espresso il nostro rammarico alle autorità religiose cristiane per non essere stati coinvolti nel comitato organizzatore della visita.

Non è una visita alle comunità cristiane?
In realtà il Papa viene in Libano non sono per i cristiani libanesi, ma per rivolgersi all’intero Medio Oriente dopo il Sinodo speciale del 2010: perciò è un viaggio che riguarda tutti. A mio avviso il comitato avrebbe dovuto includere oltre a un cristiano libanese, anche un copto egiziano, un cristiano palestinese, uno giordano, uno siriano e anche dei musulmani. Perché solo cristiani? Ho assunto questa iniziativa nella veste di segretario generale delle tre comunità musulmane in Libano, la sunnita, la sciita e la drusa nel Comitato di dialogo con i cristiani, proprio per ottenere un maggiore coinvolgimento dei musulmani nell’accogliere il Santo Padre. Del resto non solo ho rappresentato il mondo musulmano sunnita al Sinodo del 2010, ma anche i sunniti libanesi nel primo Sinodo del 1995: quindi so di cosa parlo!

Che risposta ha avuto dagli organizzatori?
Mi hanno detto che avevo ragione e che ci avrebbero pensato su…

Che differenze ha notato tra il Sinodo del ’95 per il Libano e quello del 2010 per il Medio Oriente?
Durante la preparazione del Sinodo sul Libano, dal 1992 al ‘95, Giovanni Paolo II aveva insistito, per la prima volta nella storia dei sinodi in Vaticano, che i musulmani partecipassero: non come osservatori, questo fu quello che lui disse, ma come partecipanti. E quando io arrivai a Roma fui nominato membro di una delle commissioni preparatorie. Ma anche prima di arrivare a Roma io ero membro della Commissione formata da maroniti e ortodossi incaricata di redigere i Lineamenta, i documenti preparatori, con i principi e le questioni sul tappeto. Quindi c’è stato il coinvolgimento dei musulmani in questo evento prima, durante e dopo. Ho partecipato allora a tutte le sessioni del Sinodo, mattina e pomeriggio, per tre settimane, alla presenza del Santo Padre, con il quale ho avuto l’onore di avere un colloquio privato. Oggi è diverso. Nel 2010 ho partecipato solo ad una sessione come speaker del mondo musulmano sunnita, non come partecipante ai lavori.

Ritiene che il dialogo interreligioso fosse più intenso negli anni addietro?
C
’è stata una grossa differenza fra i due sinodi, ma ciò che più conta è che dal Concilio Vaticano II in poi c’è una linea chiara di condotta da parte della Chiesa nei confronti dell’Islam: cambiano i papi, ciascuno ha il suo stile e la sua personalità, c’è una differenza tra l’approccio di Giovanni XXIII, di Paolo VI, di Giovanni Paolo II e di Benedetto XVI. Ma c’è una linea e una stessa determinazione nei confronti dell’Islam, una stessa chiamata a conoscersi sempre meglio e a cooperare per la pace. Le tante iniziative in corso in Libano fra cristiani e musulmani indicano che la convivenza è possibile.

Non crede che il Libano sia un’eccezione?
Non c’è dubbio, ma il punto è proprio che non vogliamo che rimanga un’eccezione e stiamo lavorando per estendere questo modello. Vogliamo arabizzare l’esperimento libanese, e questo è il motivo per cui Giovanni Paolo II ha definito il Libano «più che un Paese, un messaggio». Vogliamo che tutto ciò prenda piede anche in altri Paesi. Ad esempio quest’anno siamo riusciti a far dichiarare il 25 marzo, festa dell’Annunciazione a Maria, un giorno di festa nazionale in Libano, e stiamo lavorando per estendere questo esempio e questa festività ad altri Paesi, non solo in Libano ma anche in Egitto, Iraq, Siria, come un giorno festivo per cristiani e musulmani. Questo è il nostro messaggio: promuovere cittadinanza, società civile, comprensione e convivenza islamo-cristiana, sulla base non solo di vantaggi socio-economici, educativi ecc., ma anche delle nostre reciproche convinzioni religiose, proprio perché Maria è un ponte di amore.

Fuori dal Libano che riscontro ottiene?
Queste cose le ho dette al Cairo nell’approvazione generale, ma certamente applicare tutto questo, raggiungere la base richiede parecchio tempo. A maggior ragione nel contesto odierno: è come andare contro corrente.

Che cosa si aspetta dall’imminente viaggio papale?
Il Papa viene a consegnare l’esortazione post-sinodale a tutto il Medio Oriente. Dallo spirito delle discussioni emerse durante il Sinodo e dal Messaggio conclusivo, guardiamo con attesa e con speranza a quello che dirà. Penso che rivolgerà un appello ancora una volta alla reciproca comprensione e cooperazione fra musulmani e cristiani, e siamo pronti a metterlo in pratica, contro tutti i problemi che i cristiani affrontano con i musulmani, specialmente dopo quello che è successo in Iraq, in Egitto e ora in Siria… La visita sarà un’occasione per costruire ponti più numerosi e più saldi fra cristiani e musulmani, per risolvere molti dei problemi che i cristiani affrontano oggi in Medio Oriente. Questa visita può fare da base per una reciproca cooperazione, a cominciare dall’accogliere il Santo Padre e dal mettere in pratica il messaggio che ci consegnerà. Lo aspettiamo con trepidazione, ma vogliamo essere più vicini, non vogliamo sentire che «non sono affari vostri». No, io sono convinto che siano anche affari nostri!

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