Quei giovani fragili che affideranno il Libano e il Papa alla Vergine Maria
In vista dell'arrivo di Benedetto XVI, Beirut organizza una grande veglia di preghiera interreligiosa in un luogo simbolo della guerra civile. Sono attesi molti giovani, cristiani e musulmani, anch'essi segnati dai problemi di una regione tanto difficile, ma pure dalle sfide tipiche dei loro coetanei d'Occidente. Ce ne parla il francescano fra Toufic Bou Merhi.
(Beirut) – «Nonostante alcune voci che mettevano in forse, per motivi di sicurezza, la visita del Pontefice, io ero certo che sarebbe venuto. Purtroppo questo clima di incertezza, durato fino a pochi giorni fa, ha assopito l’entusiasmo e rallentato un po’ l’organizzazione… ma quando abbiamo visto che avevano spedito la «papamobile», non abbiamo avuto alcun dubbio». Padre Toufic Bou Merhi, libanese, è un frate della Custodia di Terra Santa a Beirut. Dal punto di vista pastorale si occupa soprattutto di giovani: è la guida spirituale di 23 gruppi giovanili in tutto il Libano, animatore vocazionale per la Custodia, e conoscitore delle speranze e dei problemi dei giovani libanesi con i quali il Papa ha appuntamento il prossimo sabato, 15 settembre, presso la sede del patriarca maronita, a Bkerke.
Giovani che saranno presenti in massa già domani sera, 12 settembre, a una grande preghiera islamo-cristiana dal titolo Insieme in pace, amore, libertà e sicurezza, che si svolgerà a Beirut, per invocare la protezione di Dio e della Vergine Maria sulla visita di Benedetto XVI. Una processione che partirà da quattro angoli diversi di Beirut per convergere nella piazza del Museo, in centro città, dove ci saranno letture, canzoni e preghiere comuni. «La piazza del Museo non è un luogo come un altro a Beirut – spiega Nagy El Khoury, direttore del liceo dei gesuiti della capitale libanese e uno degli animatori del dialogo islamo-cristiano a livello nazionale –. Da questa piazza, durante la guerra civile (1975-1990 – ndr) passava il confine tra la parte cristiana e la parte musulmana della città. Mentre prima lì ci uccidevamo a vicenda, oggi abbiamo voluto che i cortei vi giungessero dai quattro punti cardinali, per unirsi in un unico popolo, in un giardino intitolato proprio alla Vergine Maria. Perché è lei, venerata da cristiani e musulmani, l’unica che ci può unire». Nel luogo dell’incontro infatti sarà montato un grande striscione con un passo del Vangelo di Luca e una sura del Corano, entrambi dedicati alla Madonna.
«Il Papa viene in Libano per consegnarci l’esortazione apostolica post-sinodale indirizzata ai cattolici, ma anche a tutto il Medio Oriente – continua El Khoury –. È importante che cristiani e musulmani lo attendano in preghiera. L’incontro del 12 è aperto a tutti, ma ci aspettiamo tantissimi giovani, poiché sono tra i più sensibili al discorso del dialogo».
I giovani cristiani libanesi vivono i problemi tipici di chi è minoranza, ma anche quelli tipici del rapporto con la modernità, né più né meno dei loro coetanei occidentali. «Sono generosi, cercano qualcuno che li possa e li sappia ascoltare, hanno fame di relazioni autentiche – spiega padre Toufic –, ma subiscono il fascino delle nuove tecnologie, che purtroppo non li aiutano a costruire amicizie profonde». «Quest’estate ho seguito tre campeggi di ragazzi dai 17 ai 25 anni – continua il francescano – e ho avuto modo di conoscere meglio le loro speranze e i loro progetti. Se dopo i 25 anni, i problemi dei giovani libanesi sono gli stessi degli adulti – la disoccupazione, la tentazione ad emigrare in Occidente, le preoccupazioni per la guerra in Siria e le tensioni dell’area – mi sono stupito di come, per i più giovani, il problema sia sempre di più quello, all’apparenza banale, di riuscire a comunicare. Anche tra i ragazzi libanesi si sono diffuse, come in Europa, le nuove tecnologie: i ragazzi non vivono più senza Internet e il cellulare. Durante i nostri campeggi estivi è stato difficile convincerli e spegnere il cellulare e a vivere le relazioni in modo semplice. Sempre più spesso sono vittime di una forma di chiusura che in Libano non conoscevamo e che li porta a vivere in modo superficiale. Avendo tutto alla loro portata, su Internet, non si stupiscono più di nulla. Tra educatori si parla spesso male della televisione, ma ormai nessuno di questi ragazzi la guarda più. Almeno davanti al televisore si stava tutti insieme, seduti gli uni accanto agli altri; adesso con Internet, ciascuno sta da solo nella propria stanza, in un mondo di cui è l’unico responsabile. Per fortuna durante i campeggi ci trovavamo sulle montagne, in un’area dove l’elettricità manca per dodici ore al giorno; questo fatto li ha costretti ad abbandonare i telefoni, che si erano scaricati, e a stare insieme. Anche per loro, poi, la sorpresa è stata che, senza cellulare, si può vivere bene. E mi ha stupito che, tornati a casa, abbiano organizzato per i loro coetanei una festa what’s up free, ovvero, una serata in cui ogni comunicazione fosse fatta solo in modo diretto e non attraverso Internet».