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Libano, chi si aspetta dal Papa pronunciamenti politici rimarrà deluso

Manuela Borraccino
12 settembre 2012
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Una visita pastorale e di Stato attesa con trepidazione e non esente da tentazioni di strumentalizzare le parole del Papa. Così il Libano ha vissuto i mesi di preparazione del viaggio papale, mai messo in discussione in Vaticano ma sul quale i dispositivi di sicurezza approntati sono ferrei. Le aspettative di cristiani su alcuni temi cruciali.


(Milano) – Benedetto XVI «non si presenta come un potente capo politico, ma come un capo di comunità religiose che attraverso la loro testimonianza di vita e il loro impegno servono il Paese in cui vivono» ha affermato ieri padre Federico Lombardi in un briefing con i giornalisti in Vaticano. «Chi si fa aspettative sulla politica – ha puntualizzato il portavoce della Santa Sede – non centra il viaggio e il suo spirito: il Papa è un leader religioso che va a portare un messaggio alla comunità che fa riferimento a lui» ma «non ha indicazioni per dire ai cristiani che cosa devono fare»: a loro affida «un ruolo di ponte, non di parte, ma di possibile incontro» tra le varie comunità siriane.

La precisazione è emblematica dell’attesa sul viaggio in una regione in ebollizione e sembra diretta a quanti, soprattutto sui media libanesi, hanno creato false aspettative sull’eventualità che Benedetto XVI dica la sua sulla guerra in Siria e sulle posizioni che patriarchi e vescovi hanno assunto negli ultimi 18 mesi.

È ancora viva nei libanesi, del resto, la memoria del viaggio che Giovanni Paolo II fece a Beirut nel 1997. Se Benedetto XVI si rivolgerà nei prossimi giorni a un Medio Oriente cambiato rispetto alle analisi tracciate dai presuli due anni fa nel Sinodo svoltosi in Vaticano, anche il Libano è cambiato rispetto al contesto della precedente visita papale. Nel 1997 i cristiani erano in trincea, spinti ai margini della vita pubblica e rappresentati solo dalla voce combattiva del patriarca maronita Nasrallah Sfeir; oggi gli stessi politici cristiani che allora erano in prigione o in esilio, in primis Samir Geagea e Michel Aoun, siedono in Parlamento e hanno loro ministri nel governo. «La situazione dei cristiani libanesi oggi è piuttosto dominata dalla divisione fra il fronte cristiano-sciita della coalizione 8 marzo e quello cristiano-sunnita denominato 14 marzo, con un dibattito acceso sulle controverse posizioni assunte dal patriarca Bechara Rai in merito alla crisi siriana» spiega a Terrasanta.net Ayman Mhanna, giornalista e direttore della Fondazione Samir Kassir. «La comunità cristiana – rimarca– è sostanzialmente divisa fra chi appoggia la rivoluzione siriana e chi la contrasta, fra chi ha paura che se Assad cade un regime radicale sunnita prevarrà e chi dichiara di essere a favore di un cambiamento. La percezione generale oggi in Libano, avallata da alcune dichiarazione del patriarca Rai, è che il capo dei maroniti sia vicino a chi sostiene il regime di Assad. E per questo molta gente aspetta con trepidazione quello che il Papa dirà su tutto questo».

A dispetto della crescente tensione nell’area, in Vaticano il viaggio non è mai stato messo realmente in discussione, come ha confermato padre Lombardi. Quando, nelle scorse settimane, le tensioni interetniche sono tracimate dalla Siria al Libano con l’arresto di un ex ministro libanese vicino a Bashar al-Assad, accusato di aver trasportato esplosivi dalla Siria per creare incidenti, e con una catena di sequestri incrociati nei due Paesi, gli organizzatori hanno cercato di gettare acqua sul fuoco e smentire le voci trapelate sulla stampa libanese che il Papa avrebbe potuto rimandare il viaggio. «Chiedetevi chi e perché diffonde queste voci: fate i giornalisti, cercate di discernere», ammoniva meno di un mese fa un alto prelato coinvolto nella preparazione della visita a Beirut.

Gli appuntamenti del Papa, del resto, non lasciano dubbi sulla meticolosità con cui sono stati concepiti i suoi spostamenti. A parte la Messa di domenica 16 al City Center Waterfront vicino al porto di Beirut dove sono previste alcune centinaia di migliaia di persone, la maggior parte degli incontri non si svolgerà nella capitale libanese ma sulle colline di Beirut. È infatti nei pressi di Harissa – la località arroccata sul Monte Libano a circa 30 chilometri dalla capitale con una vista mozzafiato sul Mediterraneo, sede del santuario di Notre Dame du Liban caro a musulmani e cristiani nonché della nunziatura apostolica e di alcune residenze patriarcali – che avverranno la firma dell’esortazione apostolica, il pranzo con i vescovi orientali al patriarcato armeno (Bzommar), l’appuntamento con i giovani al patriarcato maronita (Bkerke) e l’incontro ecumenico nel monastero siro-cattolico di Charfet. Tutti siti in collina a pochi chilometri l’uno dall’altro, lontani dal traffico della capitale.

Anche il palazzo presidenziale dove si svolgeranno gli incontri istituzionali con i leader musulmani e le personalità della cultura libanesi è arroccato sulle colline della capitale, a Baabda, in una zona residenziale poco abitata e difesa da anni da diversi check-point su tutte le vie di accesso. In una città che reca ancora oggi le tracce della guerra civile che ha dilaniato il Libano per 15 anni e degli attentati dinamitardi che dal 2004 al 2007 hanno dilaniato giornalisti, parlamentari, esponenti politici, le preoccupazioni dei servizi di sicurezza si annidano più sull’eventualità di incidenti più o meno dimostrativi fra i partecipanti della Messa del 16 che non sulla sicurezza di Benedetto XVI.

Che cosa si aspettano i cristiani? «Il Papa viene a sostenerci nella nostra missione, a dirci che sia i leader che i fedeli cristiani del Medio Oriente hanno delle responsabilità, una missione che va oltre le parole: dobbiamo entrare in azione», afferma senza esitazione padre Marwan Tabet, organizzatore del viaggio papale.

In quattro campi in particolare, come indicato dal Messaggio finale del Sinodo. Anzitutto la scuola, un settore cruciale soprattutto in Libano, un Paese piccolo e privo di risorse naturali dove l’istruzione e l’accumulazione di capitale umano sono da sempre considerati un asset strategico in mano alle famiglie che non hanno beni materiali da lasciare ai figli, e dove le 1.200 scuole cattoliche svolgono un ruolo prezioso. Il secondo campo è quello dell’assistenza sanitaria, altro bastione della Chiesa cattolica sul quale da anni si parla di una ristrutturazione per far fronte ai nuovi bisogni della popolazione. Il terzo ambito d’impegno è quello della protezione delle proprietà della terra, un problema avvertito in tutta la regione perché i cristiani che emigrano vendono la terra e le case quasi sempre a musulmani, con un dibattito in corso sulla necessità di istituire un dispositivo, un sistema di procedure per tutelare le proprietà. Infine il tema del lavoro: occorre creare occupazione per frenare l’emigrazione e la fuga dei cervelli, definita due anni fa dal presidente del Parlamento libanese Nabih Berri «la prima emergenza sociale» nel Paese.

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