Il primo gesto ufficiale di Benedetto XVI a Beirut è stata, nella serata di venerdì, la firma dell’esortazione apostolica Ecclesia in Medio Oriente che suggella la riflessione del Sinodo dei vescovi per il Medio Oriente, svoltosi nell’ottobre 2010 in Vaticano. La cerimonia s’è svolta nella basilica greco-cattolica di San Paolo, ad Harissa.
(Milano/g.s.) – Il primo gesto ufficiale di Benedetto XVI a Beirut è stata, nella serata di venerdì, la firma dell’esortazione apostolica Ecclesia in Medio Oriente che suggella la riflessione del Sinodo dei vescovi per il Medio Oriente, svoltosi nell’ottobre 2010 in Vaticano. La cerimonia s’è svolta nella basilica greco-cattolica di San Paolo, ad Harissa, nei sobborghi della capitale libanese.
Il patriarca melchita, Gregorio III Laham, ha dato il benvenuto al Papa ringraziandolo per un documento che «si rivolge ai cristiani del Libano e di tutto l’Oriente arabo, aiutandoli a chiarire il senso della loro esistenza, del loro ruolo, del loro servizio, della loro testimonianza in questo mondo arabo a maggioranza musulmana. Una missione che si riassume nell’appello ad essere luce , sale e lievito».
Davanti a un’assemblea composita di invitati cristiani e musulmani – in prima fila il capo dello Stato Michel Sleiman e la consorte – il patriarca ha anche dedicato un paio di passaggi del suo discorso al conflitto israelo-palestinese. «Siamo riconoscenti – ha detto Laham – per la poisizione, ferma e costante, della Santa Sede e dei papi rispetto a questa annosa questione. Questa posizione ferma è un atto coraggioso d’equità, di giustizia e verità, di cui il nostro mondo oggi ha tanto bisogno, nel momento in cui si moltiplicano le ingiustizie politiche. Così la Santa Sede resta sempre pioniera della giustizia mondiale».
La soluzione di questo conflitto, ha affermato Laham, consentirebbe di risolvere alcune delle questioni più complesse del mondo arabo e di frenare l’emigrazione dei cristiani. «Il riconoscimento dello Stato palestinese è il bene più prezioso che il mondo arabo, con tutte le sue componenti cristiane e musulmane, possa ottenere. Potrà altresì garantire la realizzazione degli orientamenti espressi nell’esortazione apostolica post-sinodale (…) e aprirebbe la strada a una vera primavera araba, una vera democrazia capace di cambiare la faccia del mondo arabo e di dare pace alla Terra Santa, al Medio Oriente e al mondo».
Il discorso che Benedetto XVI ha pronunciato prima di firmare la Ecclesia in Medio Oriente è ruotato intorno al tema della Croce: «È provvidenziale che questo atto abbia luogo proprio nel giorno della Festa dell’Esaltazione della Santa Croce, la cui celebrazione è nata in Oriente nel 335, all’indomani della dedicazione della basilica della Risurrezione costruita sul Golgota e sul sepolcro di Nostro Signore dall’imperatore Costantino il Grande, che voi venerate come santo. Fra un mese si celebrerà il 1.700.mo anniversario dell’apparizione che gli fece vedere, nella notte simbolica della sua incredulità, il monogramma di Cristo sfavillante, mentre una voce gli diceva: “In questo segno, vincerai!”».
La crocifissione e risurrezione di Gesù Cristo, ha spiegato il Papa, sono eventi che fanno parte di un mistero inscindibile: «Per un cristiano, esaltare la Croce vuol dire comunicare alla totalità dell’amore incondizionato di Dio per l’uomo. È porre un atto di fede! Esaltare la Croce, nella prospettiva della Risurrezione, è desiderare di vivere e manifestare la totalità di questo amore. È porre un atto d’amore! Esaltare la Croce porta ad impegnarsi ad essere araldi della comunione fraterna ed ecclesiale, fonte della vera testimonianza cristiana. È porre un atto di speranza!».
«Ecclesia in Medio Oriente – osserva Benedetto XVI – permette di ripensare il presente per considerare il futuro con lo stesso sguardo di Cristo. Essa, con i suoi orientamenti biblici e pastorali, con il suo invito a un approfondimento spirituale ed ecclesiologico, con il rinnovamento liturgico e catechistico raccomandato, con i suoi appelli al dialogo, vuole tracciare una via per ritrovare l’essenziale: la sequela Christi, in un contesto difficile e talvolta doloroso, un contesto che potrebbe far nascere la tentazione di ignorare o dimenticare la Croce gloriosa. È proprio adesso che bisogna celebrare la vittoria dell’amore sull’odio, del perdono sulla vendetta, del servizio sul dominio, dell’umiltà sull’orgoglio, dell’unità sulla divisione. Alla luce della festa odierna e in vista di una fruttuosa applicazione dell’Esortazione, vi invito tutti a non avere paura, a rimanere nella verità e a coltivare la purezza della fede. Questo è il linguaggio della Croce gloriosa! Questa è la follia della Croce: quella di saper convertire le nostre sofferenze in grido d’amore verso Dio e di misericordia verso il prossimo; quella di saper anche trasformare degli esseri attaccati e feriti nella loro fede e nella loro identità, in vasi d’argilla pronti ad essere colmati dall’abbondanza dei doni divini più preziosi dell’oro (cfr 2 Cor 4,7-18). Non si tratta di un linguaggio puramente allegorico, ma di un appello pressante a porre degli atti concreti che configurano sempre più a Cristo».
In definitiva, ha osservato il Papa, l’esortazione apostolica non è che un nuovo appello alla conversione: «In tutte le sue parti, l’Esortazione vorrebbe aiutare ciascun discepolo del Signore a vivere pienamente e a trasmettere realmente ciò che è diventato attraverso il Battesimo: un figlio della Luce, un essere illuminato da Dio, una lampada nuova nell’oscurità inquietante del mondo affinché dalle tenebre facciano risplendere la luce (cfr Gv 1,4-5 e 2 Cor 4,1-6). Questo documento vuole contribuire a spogliare la fede da ciò che la imbruttisce, da tutto ciò che può offuscare lo splendore della luce di Cristo».