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La convivenza in Libano ha un segreto: istruzione e cultura

Carlo Giorgi, inviato
15 settembre 2012
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La convivenza in Libano ha un segreto: istruzione e cultura
Padre Salim Daccache.

Il Papa a Beirut incontra oggi i rappresentanti del mondo della cultura. Tra questi vi sarà anche il rettore dell'Università Saint Joseph, il gesuita padre Salim Daccache. Fondata a fine Ottocento la sua università è tra le più prestigiose del Paese e offre formazione a oltre 12 mila studenti. Padre Daccache ci dice la sua sul Libano, i suoi giovani, la presenza del Papa.


(Beirut) – «La visita di Benedetto XVI è un bene per il Libano, perché ci conferma della idea che la convivenza tra noi sia possibile». Ad affermarlo è padre Salim Daccache, gesuita, è il rettore dell’Università Saint Joseph, una delle sette università cattoliche del Libano ma anche una delle istituzioni culturali più importanti e rinomate del Paese, essendo stata fondata già alla fine dell’800, vantando oggi 250 convenzioni di collaborazione con università di tutto il mondo e oltre 12 mila studenti, soprattutto iscritti a facoltà scientifiche ed economiche.

Lo abbiamo incontrato in occasione della visita del Papa, per chiedergli le sue impressioni sulla visita del pontefice che padre Dachacce  ascolta, assieme agli altri rettori universitari e ai rappresentanti del mondo della cultura, questa mattina alle ore 11.15 locali (ore 10.15 ora italiana) nel palazzo presidenziale di Baadba.

«La nostra università sorge nel centro della città di Beirut – raconta padre Dachacce – e ci sentiamo di essere l’università di tutti, cristiani e musulmani. Vogliamo davvero essere un “messaggio di convivenza”, esattamente come diceva Giovanni Paolo II per il Libano. Oggi siamo una comunità di 15 mila persone, insegnanti e personale incluso e il 38 per cento dei nostri studenti è musulmano. Una diversità di presenze che è un dono per la nostra università ma anche una difficoltà, a volte. I giovani in Libano sono molto politicizzati e divisi tra loro: sciiti, sunniti e cristiani, i quali sono a loro volta divisi al loro interno. Un esempio concreto delle difficoltà di convivenza? Il fatto che gli studenti musulmani mi chiedano un posto dove poter pregare, che non sia il cortile dell’università … il problema è che il locale che gli do non deve essere permanente perché diventa automaticamente una moschea… in questi casi si prova a trovare una soluzione e ci si riesce di solito discutendo, parlando tra noi con rispetto».

Che cosa fa la sua università in concreto per favorire la convivenza
Una delle cose di cui siamo fieri è una facoltà di Scienze religiose che pur avendo solo 300 studenti sta facendo molto bene. In questa facoltà, oltre a un istituto di Teologia, ce n’è uno per gli Studi cristiani e musulmani, che è stato fondato 35 anni or sono. In questo istituto gli studenti sono metà cristiani e metà musulmani. E tutte le lezioni sono tenute da un professore cristiano e uno musulmano insieme. Chi frequenta questa facoltà ha modo di incontrare senza pregiudizi i fedeli di altre religioni e questo è molto importante.

Il sistema universitario riesce a dare un contriburto positivo alla convivenza nel Paese?
Se il Libano, come Stato, nonostante i problemi e la guerra civile, è riuscito a vivere unito fino ad oggi, dipende anche dal fatto che l’educazione superiore, come quella universitaria, ha giocato un ruolo a favore della convivenza. Il dialogo tra i libanesi esiste, non è un’illusione ed è anche il frutto di questa educazione. Da due anni a questa parte noi della Saint Joseph stiamo anche lavorando nelle scuole inferiori, abbiamo fondato un’associazione di studenti e professori volontari, chiamata Gladic, Gruppo di amicizia libanese tra cristiani e musulmani, che va nelle scuole e propone speciali lezioni sul dialogo e la capacità di ascolto ai ragazzi. Inoltre proponiamo ai nostri studenti incontri di condivisione e attività sociali, che vengono realizzati nelle periferie più povere, come il dopo scuola ai ragazzi che hanno bisogno.

L’esortazione apostolica firmata ieri da Benedetto XVI si occupa anche del problema dell’emigrazione dei cristiani dal Medio Oriente. Come università che percezione avete di questo esodo?
Il 50 per cento dei laureati lascia il Libano per trovare una posizione all’estero. E questo è un guaio per il Paese, perché i migliori studenti se ne vanno. È una questione importante, ci rendiamo conto che è un problema. D’altra parte se il Libano è un Paese che non crolla, dal punto di vista finanziario, è perché chi parte manda i soldi a casa… Ultimamente abbiamo ricevuto anche molti studenti siriani, emigrati in Libano a causa della guerra. Studiare qui per loro è difficile perché i nostri corsi sono in francese e inglese e non conoscono bene la lingua. Spesso per questo scelgono di lasciare il Libano e andare in Egitto a studiare.

Cosa pensa della visita del Papa in Libano?
È un’occasione molto buona sia per i cristiani, sia per i musulmani, per confermare l’idea della possibile convivenza tra noi. Inoltre è molto positiva proprio per i cristiani e per i cattolici del Medio Oriente , che stanno vivendo in una preoccupante instabilità a causa della primavera araba e delle rivolte. In particolare per i cristiani siriani, che non si sentono più protetti dal loro stato e che sono tentati di andarsene. Questo nonostante il loro radicamento, così unico e proffondo, nella società siriana.

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