Il waterfront di Beirut, un'enorme spianata di fronte alla Baia di Saint George dove i ricchi libanesi tengono le loro lussuose barche, probabilmente non ha mai visto uno spettacolo simile: una marea di cristiani, almeno 350 mila, pazientemente seduti ad ascoltare il Papa, cantare e pregare insieme sotto un sole cocente. Vibrante appello di Ratzinger per la Siria.
(Beirut) – Il waterfront della capitale libanese, un’enorme spianata di fronte alla Baia di Saint George dove i ricchi libanesi tengono le loro lussuose barche, probabilmente non ha mai visto uno spettacolo simile: una marea di cristiani, almeno 350 mila persone, secondo la stima degli organizzatori, (molte delle quali rimasti dalle otto a mezzogiorno sotto un sole infuocato) pazientemente sedute ad ascoltare il Papa, cantare e pregare insieme. Con i libanesi, moltissimi stranieri: sia immigrati dell’Africa e dell’Asia che sono venuti in Libano per lavorare; sia cittadini di altri Paesi arabi, venuti a Beirut approfittando della eccezionale «vicinanza» del Papa.
«Il Papa è venuto in Libano e voglio vederlo – dice Joe Khomy, 25 anni, maronita libanese, prima dell’inizio della Messa -. Voglio sentire cosa dirà. La mia speranza è che dopo averlo sentito anche i politici cristiani finalmente trovino un accordo. Devono tornare a lavorare insieme, per il bene comune! Non lo fanno ormai da molti anni e guarda dove siamo arrivati… Io non voglio emigrare, voglio rimanere in Libano! Ma tutto rema contro: avere un lavoro all’estero per la mentalità libanese è un plus; tutti i miei amici più cari sono emigrati e, se non avessi trovato un posto in una multinazionale francese, forse sarei partito anche io».
«Sono qui per assistere alla messa del Papa assieme agli altri cristiani – spiega Elane Al Rachid, 26 anni, in piazza nonostante sia visibilmente incinta -; e dimostrare che noi ci siamo ancora in Libano, la terra in cui il Signore Gesù ha camminato. Spero che lo spirito di comunione che sta nascendo da questo viaggio del Papa rimanga. La lettera del muftì Mohammad Qabbani indirizzata al Papa in questi giorni (in cui dice, tra l’altro, che ogni attacco a un cristiano va considerato come un attacco a un musulmano e che gli uni e gli altri devono costruire il futuro assieme – ndr) è un segno di speranza, speriamo che continui… Il fondamentalismo che abbiamo intorno a noi non mi preoccupa molto, sono generazioni che è così e i cristiani sono sempre stati protetti».
Poco lontano da Elane sventolano numerose bandiere dell’Iraq. Sono di una comitiva di 250 iracheni, quasi tutti di Ebril, nel Kurdistan, solo 20 da Bagdhad. «Siamo qui per prendere la benedizione del Papa e condividere questa Messa con il popolo libanese», spiega Mariam, 18 anni, che fa parte di una comunità neocatecumenale di Ebril. Rose Lea, invece, ha 40 anni e viene dal Senegal: «Sono molto felice, è la prima volta che vedo il Papa!», mi spiega avvolta dalla bandiera del suo Paese. A Beirut lavora in un ospedale ed è qui con alcune sue connazionali cristiane. La maggior parte dei senegalesi sono musulmani e Rose Lea sperimenta in Libano una situazione di convivenza simile a quella che conosce in patria. Africani e asiatici sono molti oggi in piazza, segno che l’emigrazione verso il Libano non è solo da parte di Paesi a maggiornaza musulmana come la Siria. C’è addirittura un drappello di giovani del Sud Sudan che, con un cartello, invitano Benedetto XVI a raggiungerli nel loro «nuovo» Paese.
Il grande palco da cui Benedetto XVI celebra la Messa è pieno di ulivi: ce ne sono due enormi sul lato sinistro; alla destra e alla sinistra dell’altare, poi, ce ne sono altri che portano simbolicamente nelle chiome delle grandi croci e molti fiori. L’altare stesso è retto da due tronchi di ulivo, così come il leggio da cui i lettori proclamano la Parola di Dio. L’ulivo è l’albero delle radici vive e tenaci. Un segno chiaro, ripetuto di continuo perché i vicini e i lontani lo intendano bene, un segno che rappresenta il radicamento dei cristiani in questo Paese. E poi, ovviamente, sull’altare ci sono anche i cedri, simbolo stesso del Libano: alcuni veri, di un verde splendente. E uno stilizzato: lo sfondo gigantesco di tutta la scenografia, di colore bianco, pieno di luci, che riproduce la sagoma di un grande cedro. Sopra il trono del Papa, una croce semplicissima.
Il brano evangelico di oggi è dal Vangelo di Marco (8, 27-35: «E voi chi dite che io sia?») ed il passo del riconoscimento di Pietro è il più appropiato per confermare nell’unità i cristiani dei molti riti orientali, raccolti attorno al successore di Pietro. Il Pontefice, proprio in segno di unità, celebra l’aucarestia assieme ai quattro patriarchi che risiedono in Libano. L’omelia del Papa è un inno al servizio, come unico stile dei cristiani, a qualsiasi compito siano chiamati: «Chi vuole essere suo discepolo deve accettare di essere servo, come Lui si è fatto servo. (…) La vocazione della Chiesa e del cristiano è di servire, come il Signore stesso ha fatto, gratuitamente e per tutti, senza distinzioni (…). Cari fratelli e sorelle, prego particolarmente il Signore di dare a questa regione del Medio Oriente dei servitori della pace e della riconciliazione, perché tutti possano vivere pacificamente e con dignità. È una testimonianza essenziale che i cristiani debbono dare qui, in collaborazione con tutte le persone di buona volontà. Vi chiamo tutti ad operare la pace. Ciascuno al proprio livello e dove si trova».
Particolarmente intenso è stato l’appello del Papa in occasione della preghiera mariana dell’Angelus, pronunciata in un Paese come il Libano, in cui cristiani e musulmani sono accomunati da una particolare devozione per la Madre di Gesù. «Rivolgiamoci ora a Maria, la Madre di Dio, Nostra Signora del Libano, intorno alla quale si ritrovano i cristiani e i musulmani – ha detto Ratzinger -. A lei domandiamo di intercedere presso il suo Figlio divino per voi e, in modo particolare, per gli abitanti della Siria e dei Paesi vicini, implorando il dono della pace. Voi conoscete bene la tragedia dei conflitti e della violenza che genera tante sofferenze. Purtroppo, il fragore delle armi continua a farsi sentire, come pure il grido delle vedove e degli orfani! La violenza e l’odio invadono la vita, e le donne e i bambini ne sono le prime vittime. Perché tanti orrori? Perché tanti morti? Faccio appello alla comunità internazionale! Faccio appello ai Paesi arabi affinché, come fratelli, propongano soluzioni praticabili che rispettino la dignità di ogni persona umana, i suoi diritti e la sua religione! Chi vuole costruire la pace deve smettere di vedere nell’altro un male da eliminare. (…) Possa Dio concedere al vostro Paese, alla Siria e al Medio Oriente il dono della pace dei cuori, il silenzio delle armi e la cessazione di ogni violenza! (…) Con i patriarchi e i vescovi presenti, pongo il Medio Oriente sotto la materna protezione di Maria. Che possiamo, con l’aiuto di Dio, convertirci per lavorare con ardore alla costruzione della pace necessaria ad una vita armoniosa tra fratelli, qualunque sia l’origine e la convinzione religiosa».