Evangelizzare attraverso le opere sociali. È questa una delle raccomandazioni che il Sinodo dei vescovi per il Medio Oriente offre ai cristiani che vivono in Terra Santa. Indicazione che il Papa tornerà a ribadire domani, 14 settembre, quando sbarcherà in Libano per consegnare ai vescovi e ai fedeli mediorientali l'esortazione apostolica post-sinodale. La storia di Anta Achi, associazione che si occupa di sostenere anche spiritualmente i disabili.
(Beirut) – Nel Paese dei Cedri sono molte le iniziative sociali con cui i cristiani hanno tentato di mettere in pratica il Vangelo. Una di queste è Anta Achi («Tu, mio fratello»), associazione che si occupa di persone disabili. Secondo Al Amal, una ong libanese impegnata nel campo della disabilità, alla fine del 2009 erano 69.385, circa il 2 per cento della popolazione, i cittadini che potevano contare su un certificato ufficiale di disabilità (secondo i dati del ministero degli Affari sociali libanese). Una percentuale che potrebbe tuttavia essere più alta, considerando da una parte la difficoltà che si affronta ad ottenere sussidi e certificazioni dallo Stato, dall’altra la vergogna con cui i libanesi, come molte popolazioni del Medio Oriente, vivono l’evento di un figlio o di un parente portatore di handicap, vergogna che porta in alcuni casi al nascondimento e alla segregazione in casa della persona in difficoltà.
La storia di Anta Achi inizia nel 1976, appena scoppiata la guerra civile libanese: Yvonne Chami è una giovane infermiera alle prese con un parto difficile. Il bambino che sta venendo al mondo nasce disabile e i genitori non se la sentono di tenerlo con loro. Yvonne decide di farsene carico: «Non potevo pensare di buttarlo via, era anche lui un essere umano e, alla luce del Vangelo, un figlio di Dio – spiega la Chami –. Subito mi è venuto il pensiero di cercare una famiglia per lui; e ho scoperto che nel quartiere di bambini così ce n’erano molti, nascosti per vergogna dalle famiglie». Da allora Yvonne vi è votata all’aiuto dei disabili. All’inizio aprendo un asilo diurno, affiancato nel 1992 a una casa di accoglienza residenziale (Anta Achi, appunto), fino a creare un gruppo di lavoro a cui partecipano sacerdoti e diaconi in particolare: «Quest’ultimo punto ci è parso irrinunciabile – dice Yvonne -. Abbiamo scoperto, con il passare degli anni, che preti e diaconi sono poco attenti alla disabilità. Se da una parte predicano che è necessario tenere in vita tutti i bambini e battezzarli, poi alla prova dei fatti non li aiutano a crescere. Proprio la Chiesa rischia di abbandonarli e di lasciarli senza un aiuto profondo. Siamo tutti instabili e bisognosi di affetto, disabili e non. È grave che proprio ai disabili venga negato l’aiuto e l’affetto maggiore, che è quello di Gesù. Il gruppo che abbiamo fondato, quindi, ha come obbiettivo quello di aiutare i preti ad aiutare i disabili; insegnare loro che è possibile seguirli spiritualmente».
Ma il messaggio di Anta Achi in fondo è per tutta la società libanese: «Il problema è quello di cambiare lo sguardo della gente sulla disabilità – prosegue Yvonne -. A pensarci bene, tutti in fondo abbiamo, per un verso o per l’altro, una disabilità; in qualcuno semplicemente… appare di più. Ma dentro alle persone c’è sempre una perla. Siamo tutti figli di Dio, amati allo stesso modo. Solo che bisogna dirlo coi fatti, anche alle persone disabili, sennò non lo sapranno mai. Qui cerchiamo di amare ciascuno, senza guardare all’apparenza. Il messaggio dei nostri ragazzi, quando si sentono amati, è questo: possiamo vivere con gioia anche se siamo così; e lo dicono a un mondo che fa di tutto per essere felice, ma non trova la gioia».
Anta Achi oggi è una palazzina di quattro piani, in un paese situato sul promontorio vicino a Beirut. Accoglie 59 persone, 20 delle quali residenti, e si finanzia solo attraverso offerte di privati e senza l’aiuto dello Stato. Ogni piano della palazzina è dedicato a un’attività diversa: uno è per le camere da letto e i bagni (profumati e puliti, perché la dignità umana inizia da lì); un altro per la sala da pranzo; un terzo per la formazione e la scuola. Quando arriviamo, i ragazzi sono riuniti tutti in una sala dove si proietta sulla parete la loro pagina Facebook. Qualcuno li ha visitati nei giorni scorsi, assieme rispondono ai visitatori. E a noi, dopo un coro di benvenuto, chiedono il favore di portare i loro saluti niente meno che al Papa.