Ci sono notizie che fotografano da sole una situazione molto meglio di mille parole. La chiusura del sito bitterlemons.org è una di quelle. Per chi segue questa rubrica si tratta di una vecchia conoscenza: spesso infatti abbiamo rilanciato articoli provenienti da questa esperienza di confronto e dialogo del tutto unica. Bitterlemons chiude - dicono i suoi ideatori - perché rischiava di parlare di un mondo che non c’è più...
Ci sono notizie che fotografano da sole una situazione molto meglio di mille parole. Ed è quanto mi è venuto in mente leggendo che chiude il sito bitterlemons.org. Per chi segue questa rubrica si tratta di una vecchia conoscenza: spesso infatti abbiamo rilanciato articoli provenienti da questa esperienza del tutto unica.
Bitterlemons era infatti la versione on line del cosiddetto Track II, il «percorso parallelo», quei contatti informali tra esponenti della società civile, analisti, persino esperti di questioni militari israeliani e palestinesi che hanno sempre fatto da apripista ai negoziati politici veri e propri. Non ci sarebbe stato il processo di pace di Oslo, negli anni Novanta, se non fosse stato a lungo preparato dai contatti sviluppati attraverso il Track II. E proprio dopo il fallimento di quel negoziato nacque il sito Bitterlemons: a volerlo furono due figure che avevano vissuto da protagonisti quella stagione, l’analista di studi strategici israeliano Yossi Alpher e il giornalista (e più tardi anche ministro) palestinese Ghassan Khatib. L’originalità rispetto ad altre realtà miste nate in quel periodo me la spiegò molto bene un giorno in un’intervista proprio Yossi Alpher: «Tutti – mi disse – cercano sempre l’interlocutore con cui sono d’accordo e parlano solo di ciò di cui sono d’accordo. A me, invece, interessa confrontarmi con Ghassan perché so che su molte cose non siamo d’accordo. Ed è proprio su questi temi che sul web vogliamo discutere».
Bitterlemons partì nel novembre 2001 con una formula rimasta sostanzialmente invariata per dodici anni: ogni settimana un tema legato al conflitto analizzato dal proprio punto di vista da Alpher e da Khatib. Ciascuno poi, al proprio, affiancava sempre una seconda voce israeliana e palestinese, scelta tra chi si trova su posizioni diverse rispetto alle proprie; questo per aiutare a capire che le due società non sono affatto monolitiche. Con questo sistema su Bitterlemons si è parlato di tutto: dal muro alla gestione delle risorse idriche, dal Piano saudita al ritiro da Gaza… E questo «fuoco incrociato» è diventato uno dei siti di analisi sul Medio Oriente più letti da diplomatici, giornalisti, viaggiatori interessati anche alle vicende politiche di questo tormentato angolo del mondo.
Adesso, però, Bitterlemons si ferma: ad annunciarlo nell’ultimo numero sono proprio i due fondatori con gli articoli che rilanciamo qui sotto. Dietro allo stop c’è anche una ragione economica: con la crisi i cordoni della borsa dei Paesi donatori che in questi anni hanno sostenuto tante di queste iniziative di pace si sono molto ristretti. Ma la carenza di fondi non è il motivo principale (del resto i costi di un sito internet del genere sono abbastanza contenuti). La ragione vera che traspare dalle parole di Alpher e Khatib è che – in una realtà mediorientale sempre più polarizzata – non c’è più spazio per il Track II. Bitterlemons chiude – dicono in sostanza – perché rischiamo di parlare di un mondo che non c’è più. Che senso ha – ad esempio – continuare a confrontarsi su come dovranno essere i due Stati quando ormai nei fatti sono diventati una parola vuota?
La fine di Bitterlemons è la bandiera bianca alzata da quanti hanno creduto in una soluzione politica del conflitto e oggi vedono i propri Paesi allontanarvisi a passi spediti. È il sintomo di una crisi profonda della politica – non solo in Medio Oriente – rispetto al tema della pace. Vuol dire che non c’è più posto per la speranza? Questo no. Vuole dire che probabilmente bisogna ripartire dall’incontro tra l’umanità delle persone, più che dalle mappe o dai dibattiti. Ed è su questo fronte che i cantieri di pace tra israeliani e palestinesi vanno comunque avanti. Proprio in queste ore una delegazione dei Rabbis for Human Rights è andata a visitare in ospedale i palestinesi vittime in questi giorni delle ripetute violenze dei coloni (rilanciamo qui sotto anche il racconto di questo incontro). È morta l’era dei vertici con le bandierine; ma gli uomini e le donne di buona volontà, anche a Gerusalemme e dintorni, sono vivi come sempre.
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