Le condizioni di vita della piccola comunità cristiana di Gaza stanno peggiorando? Recentemente gli ortodossi hanno denunciato due sospetti casi di conversioni forzate all'Islam. Anche tra i musulmani c'è chi non apprezza la «sollecitudine» dei movimenti islamisti e teme l'indottrinamento dei più piccoli.
(Milano/c.g.) – Le condizioni di vita della piccola comunità cristiana di Gaza stanno peggiorando? Alcune recenti notizie sembrano confermare un inasprimento della pressione islamista nella Striscia. Il 16 luglio scorso si è svolto un sit-in di protesta presso la chiesa ortodossa di Gaza, per denunciare il rapimento di due cristiani, un uomo e una donna, Ramiz al-Amash ed Heba Abu Dawud, da parte di un non meglio precisato gruppo musulmano; rapimento finalizzato, secondo i manifestanti, alla loro conversione all’Islam.
Secondo l’agenzia palestinese Ma’an, lunedì 16 dozzine di cristiani si sarebbero stretti intorno all’arcivescovo ortodosso Alexios, promotore della protesta: «I genitori di Ramiz sono andati dalla polizia a denunciare il rapimento – ha raccontato l’arcivescovo -. Ma la polizia non ha fatto nulla. La madre del ragazzo, dopo questi fatti, si è ammalata ed è stata ricoverata in ospedale. La famiglia ha cercato di contattare i rapitori e questi hanno portato Ramiz a visitare la madre, scortandolo con tre fuoristrada carichi di uomini armati e riportando subito via il ragazzo verso un luogo sconosciuto».
Da parte sua, l‘Associazione palestinese degli studenti musulmani di Gaza ha dichiarato che Ramiz stava pensando di convertirsi all’Islam da più di cinque mesi e avrebbe ora semplicemente dichiarato pubblicamente la sua fede. L’arcivescovo ha chiesto poi alle autorità locali di intervenire per fermare i rapimenti, lamentando che sempre, tra cristiani e musulmani a Gaza sono intercorse buone relazioni. Da parte sua, il portavoce del governo di Hamas, ha ribattuto che a Gaza non ci sono stati rapimenti, aggiungendo che la polizia nutre il massimo rispetto verso i cittadini cristiani. Nei giorni successivi all’episodio, il Centro palestinese per i diritti umani, una ong indipendente con sede a Gaza, ha favorito nei propri uffici l’incontro di Ramiz e Heba con i loro parenti. Secondo il Centro, che dichiara di aver avuto modo di parlare con i due, le loro conversioni sono da considerarsi autentiche e avvenute liberamente. Ramiz, ora musulmano, avrebbe espresso il desiderio di tornare a vivere con la propria famiglia cristiana, che avrebbe anche accettato di accoglierlo, contrariamente a quanto accade in casi analoghi, soprattutto quando è un musulmano a cambiare religione. La notizia ha ottenuto una certa eco nei Paesi vicini, venendo ripresa su quotidiani israeliani, libanesi e giordani.
Secondo le stime, i cristiani, ortodossi e cattolici, che vivono a Gaza sono l’1 per mille della popolazione (1 milione e 600 mila persone): mentre solo pochi anni fa erano più di 3 mila, oggi non superano i 1.500. Un numero davvero modesto, che rende la vita della comunità in una società completamente islamizzata, più difficile. Non sono pochi i cristiani palestinesi che lamentano pressioni, da parte di esponenti della comunità musulmana, finalizzate a convertirli.
C’è un altro elemento che segnala un certo disagio verso le pressioni islamiste in giro per Gaza. Quest’estate, per la prima volta, Hamas ha l’esclusiva nell’organizzazione dei campi estivi per i bambini della Striscia. Secondo il quotidiano libanese The Daily Star, fino allo scorso anno l’Onu finanziava, con una spesa di 12 milioni di dollari, campi estivi che coinvolgevano 250 mila ragazzi in ciascuna sessione. Campi in cui venivano proposti giochi e sport in abbondanza. Purtroppo, un deciso taglio alle donazioni ha costretto l’Unrwa – agenzia delle Nazioni Unite che si occupa dell’assistenza ai palestinesi – a tagliare i suoi campi. Dunque quest’estate i ragazzi della Striscia non hanno altra alternativa che i campi di Hamas, dove è notevole il tempo dedicato allo studio di temi religiosi musulmani e di storia del conflitto arabo israeliano e dove le bambine non possono praticare sport, poiché simili attività sono considerate inadatte per loro.
Per i ragazzi di età superiore ai 14 anni, poi, Hamas organizza campi in cui i ragazzi sono impegnati in percorsi di guerra o a saltare attraverso cerchi di fuoco. Attività che sembrano preparare i ragazzi a una visione militare della vita. I campi di Hamas sono proposti alle famiglie in modo gratuito. Emad Abdullah, ex ufficiale di polizia, intervistato dal Daily Star, ha raccontato che i suoi figli lo scorso anno hanno frequentato un campo dell’Onu, mentre questa estate rimangono a casa, poiché il padre non vuole che una fazione religiosa «li indottrini». A considerare dalle iscrizioni dei campi di Hamas («solo» 70 mila bambini e 50 mila bambine) molti altri genitori la pensano così.