La politica estera di Mohammed Morsi inizia a immaginare nuovi equilibri per il Medio Oriente del dopo «primavera araba». A meno di un mese dal suo insediamento, il nuovo presidente egiziano ha fatto le sue prime mosse diplomatiche con Arabia Saudita, Iran, Autorità Palestinese e Israele. Oltre che, ovviamente, con gli Stati Uniti.
(Milano) – La politica estera di Mohammed Morsi inizia a immaginare nuovi equilibri per il Medio Oriente del dopo «primavera araba». A meno di un mese dal suo insediamento, avvenuto il 30 giugno scorso, il nuovo presidente egiziano si è già mosso in modo incisivo, sulla scacchiera diplomatica con Arabia Saudita, Iran, Autorità Palestinese e Israele. Oltre che, ovviamente, con l’alleato di sempre dell’Egitto, gli Stati Uniti.
Per prima cosa Morsi ha voluto rafforzare l’alleanza tra Egitto e Arabia Saudita, già molto stretta durante il regime di Hosni Mubarak. I potenti del Golfo e, in particolare, il clan saudita al potere, durante la campagna presidenziale egiziana avevano esplicitamente manifestato il loro timore che la «primavera araba» potesse contagiare anche la Penisola Arabica, diffondendo instabilità. Non solo: i governanti del Regno saudita, in cui si applica la stretta dottrina wahabita, hanno sempre guardato con sospetto l’idea di Islam più moderato promosso dalla Fratellanza Musulmana dalle cui file proviene Mohammed Morsi; Fratellanza Musulmana che agli occhi dei sauditi ha sempre avuto anche il torto di vantare relazioni privilegiate con l’Iran, rivale storico dell’Arabia Saudita nella regione. A tutti questi elementi critici si è poi aggiunto, in piena campagna per le presidenziali egiziane, il casus belli: lo scorso aprile, infatti, Riyadh con un gesto plateale aveva interrotto le relazioni diplomatiche con il Cairo, richiamando il proprio ambasciatore. La decisione era stata presa dopo le proteste di piazza della società civile egiziana, per l’arresto di Ahmed al-Gizawi, avvocato e attivista dei diritti umani. Gizawi, che si era occupato di difendere alcuni cittadini egiziani arrestati dalla polizia saudita, trovandosi ad aprile in Arabia Saudita per un pellegrinaggio, era stato arrestato con l’accusa (considerata da molti poco credibile) di spaccio di stupefacenti.
Nonostante tutto, il nuovo presidente egiziano e il sovrano saudita Abdallah hanno voluto superare immediatamente i molti motivi di tensione: il 7 luglio, infatti, a una settimana sola dall’insediamento di Morsi, l’anziano Abdallah lo ha invitato in visita ufficiale a Riyadh. Viaggio che si è realizzato quasi «all’istante», l’11 luglio. «La stabilità della regione dipende dalla stabilità dell’Egitto e del Golfo, in particolare dell’Arabia Saudita», ha dichiarato Morsi al temine dell’incontro con Abdallah. Segno che, al di là delle molte differenze, i due Paesi sanno di non poter fare a meno l’uno dell’altro: l’Arabia Saudita rappresenta la più importante fonte d’aiuto per un’Egitto sempre più povero. E un Egitto alleato, è una garanzia di sicurezza e potere per re Abdallah. In concomitanza all’incontro, Riyadh ha depositato un miliardo di dollari presso la Banca centrale egiziana come prestito di garanzia per far fronte alla crisi economica. L’Egitto ha ottenuto l’impegno di aiuti per un miliardo di dollari da parte della Banca islamica per lo sviluppo, di base in Arabia Saudita. Inoltre l’Arabia Saudita ha stanziato 250 milioni di dollari per finanziare l’export del proprio gas naturale verso l’Egitto.
La visita ha avuto anche immediate conseguenze politiche: secondo il quotidiano Egypt Independent, il 18 luglio, una settimana dopo la visita di Morsi, l’ambasciatore saudita in Egitto, Ahmed Al Qattan, ha annunciando la liberazione di alcuni prigionieri egiziani in occasione del Ramadan (non di Ahmed al-Gizawi, poiché il suo processo sarà celebrato solo il 5 settembre). Non solo: il 14 e 15 agosto Morsi è stato invitato dal re Abdallah ad un incontro tra leader nazioni islamiche, in cui si discuterà della «stabilità della regione». E presto il re e il principe ereditario, ricambieranno la visita di Morsi, recandosi in Egitto.
Un’altra novità per la politica estera egiziana è la telefonata di congratulazioni da parte del presidente iraniano Mahmoud Ahmadinejad al neoeletto presidente Morsi, ricevuta il giorno 4 luglio, di cui riferisce il sito di Al Arabyia. Sono così ripresi i contatti tra i due Paesi che hanno interrotto le relazioni diplomatiche nel 1980, dopo il riconoscimento da parte dell’Egitto dello Stato d’Israele e la nascita della Repubblica iraniana. L’Iran si era già congratulato per la vittoria di Morsi definendola una «splendida visione di democrazia» che segna il «risveglio islamico» dell’Egitto. Ahmadinejad avrebbe, nel corso della telefonata, invitato Morsi all’incontro dei Paesi non allineati, che si svolgerà a Teheran il 29 agosto prossimo. Se dovesse accogliere l’invito, Morsi si troverebbe a partecipare, nel giro di due settimane, a due incontri di segno opposto: il primo in Arabia Saudita (14 e 15 agosto) con re Abdallah, il secondo a Teheran (29 agosto) con Ahmadinejad. D’altra parte, nonostante l’alleanza rinsaldata con i sauditi, Morsi non sembra voler interrompere i buoni rapporti con il governo di Teheran: secondo l’agenzia Zawya, l’Egitto ha comunicato di non voler applicare le sanzioni imposte dall’Unione Europea nei confronti del petrolio iraniano che passa dall’oleodotto del canale di Suez.
Anche nei confronti dei palestinesi Morsi sembra aver avviato un nuovo corso. Secondo il quotidiano degli emirati The Nation lo scorso 19 luglio Morsi ha incontrato al Cairo Khaled Meshaal, leader di Hamas, dopo aver incontrato il giorno precedente Mahmoud Abbas (Abu Mazen), presidente dell’Autorità Palestinese, della fazione opposta di Fatah. Nei prossimi giorni dovrebbe incontrare Ismail Haniya, capo di Hamas nella Striscia di Gaza. Hosni Mubarak, negli anni in cui è stato al potere non aveva mai incontrato ufficialmente alcun esponente di Hamas; viceversa, la Fratellanza Musulmana è da sempre più vicina ad Hamas, movimento che governa la striscia di Gaza dal 2007. Il nuovo corso di Morsi, con un maggiore equilibrio nelle relazioni tra le due parti palestinesi, potrebbe favorire la costituzione del tanto a lungo atteso governo di unità nazionale. Intanto, dal 22 luglio Il Cairo permette a qualsiasi palestinese sotto i 40 anni, che voglia recarsi in Egitto con la sua famiglia di attraversare liberamente il valico di frontiera di Rafah. Dal 2006 il governo di Mubarak, secondo un accordo con Israele successivo al rapimento del soldato israeliano Gilad Shalit da parte di militanti di Gaza, aveva chiuso il passaggio. Mentre nel maggio 2011, a rivoluzione iniziata, i termini per l’ingresso in Egitto si erano semplificati.
Il 14 luglio, infine, Mohammed Morsi ha incontrato al Cairo il segretario di Stato americano Hillary Clinton. In quest’occasione Morsi ha tranquillizzato gli Stati Uniti sulla sua volontà di rispettare i trattati internazionali (e, quindi, di mantenere buone relazioni con Israele). Dalla sua, il neoeletto presidente ha una carta in più, rispetto a Mubarak, da giocare con gli americani. Il fatto di aver vissuto negli Stati Uniti per vent’anni, avendo studiato e insegnato alla Southern California University fino al 1985, quando è tornato in Egitto. Questo aspetto biografico rende Morsi capace di comprendere la mentalità americana più di molti altri. Suo figlio Osama, nato negli Usa, ha addirittura recentemente dichiarato alla stampa di non voler rinunciare alla cittadinanza statunitense.