C’è la parabola personale e civile di un giovane ingegnere egiziano esperto di marketing e appassionato di Internet. Ma in Rivoluzione 2.0 Wael Ghonim, il blogger che ha lanciato la rivolta di piazza Tahrir, racconta soprattutto la nascita del movimento che aggregandosi sul Web ha rovesciato il regime di Hosni Mubarak, passando dal mondo virtuale a quello reale.
Dalle strade del Web a quelle del Cairo. La parabola personale, professionale e civile raccontata da Wael Ghonim in Rivoluzione 2.0 riflette quella di un’intera generazione di giovani istruiti, a proprio agio con la tecnologia e assetati di giustizia. Il libro racconta come Internet, e in particolare i social network, abbiano fornito al dissenso egiziano una cassa di risonanza e una piattaforma di aggregazione e di scambio di informazioni che né i media tradizionali né i partiti politici avrebbero mai potuto offrire, e di come, grazie alla Rete, il movimento sia cresciuto aggirando i consueti canali di repressione del dissenso del regime, fino a chiedere e ottenere la fine della dittatura di Hosni Mubarak.
Classe 1980, nel libro autobiografico il blogger che ha lanciato la rivolta di piazza Tahrir prende le mosse dall’infanzia, trascorsa fino ai 13 anni in Arabia Saudita dove il padre svolge la professione medica. Racconta della passione per Internet fin dalla fine degli anni Novanta quando, mentre frequenta Ingegneria al Cairo, fonda un sito per diffondere contenuti religiosi islamici; e comincia a cercare moglie su Internet, poiché desidera sposare «una cittadina americana desiderosa di convertirsi all’Islam», che effettivamente incontra e sposa a 21 anni in California.
A pochi mesi dal matrimonio, i fatti dell’11 settembre rendono difficilissima la vita negli Stati Uniti alla giovane coppia, che decide di trasferirsi in Egitto. È dal 2009 che Ghonim comincia ad interessarsi al ritorno in patria e alla possibile candidatura alle presidenziali di Mohamed el Baradei, per il quale apre nell’anonimato una pagina Facebook promossa con un’aggressiva strategia di marketing, mentre inizia a lavorare per la divisione del mondo arabo di Google.
Ma è con la creazione della pagina Facebook «Kullena Khaled Said», ovvero «Siamo tutti Khaled Said», in omaggio al giovane alessandrino torturato e ucciso dalla polizia in un Internet cafè nel giugno 2010, sempre nell’anonimato dagli Emirati Arabi Uniti dove si è trasferito, che Ghonim si ritrova a capo di un movimento che si ribella all’uso sistematico della tortura e agli abusi della polizia. Tra le pagine di Rivoluzione 2.0 prende corpo il ruolo cruciale svolto dai social network nella Primavera araba: «Ora che un numero così alto di persone può comunicare così facilmente, il mondo è diventato un posto molto meno accogliente per i regimi autoritari», rivendica Ghonim.
Molto si è scritto su Web e democrazia, a partire dalla campagna per le presidenziali di Barack Obama nel 2008 fino al ruolo, aspramente criticato da alcuni studiosi, di Facebook e Twitter nel 2011, l’anno che ha cambiato il Medio Oriente. Scritto nei mesi immediatamente successivi alla caduta di Mubarak per poter uscire nell’edizione inglese il 25 gennaio 2012, nel primo anniversario della Rivoluzione, il libro non spiega come le istanze dei giovani per uno Stato civile siano state travolte dall’ideologia dei Fratelli musulmani, che a distanza di un anno hanno assunto il potere con il presidente Mohammed Morsi. Pur parlando a più riprese di «Rivoluzione», glissa sull’assenza di un pensiero politico compiuto da parte di chi ha arringato sul Web decine di migliaia di giovani per aprire una nuova stagione in Egitto. Egli celebra i risultati della democrazia partecipativa nella cacciata di Ben Ali in Tunisia e, sulla scia degli eventi innescati dal sacrificio di Mohammed Bouazizi, di Mubarak, ma non analizza gli esiti di una rivolta condotta senza leader: «Quel che era un limite si è rivelato un vantaggio», si limita a dire. Ghonim esalta il ruolo della Rete nel portare avanti una battaglia civile di portata epocale, ma non dice quale ruolo Internet possa avere nel plasmare le interazioni fra Stato e cittadini in Egitto, nell’inclusione delle minoranze copte, nello strutturare nuove e più efficaci forme di dialogo fra eletti ed elettori.