«Malgrado il sangue versato in abbondanza e gli odi che si sono manifestati, i siriani possono risolvere questa crisi unica nella loro storia aiutandosi gli uni gli altri e lavorando insieme per il futuro comune». Lo scrive il patriarca greco-melchita Gregorio III Laham in un testo diffuso nei giorni scorsi per chiarire nuovamente, e con puntiglio, il punto di vista della Chiesa in Siria, che chiede maggiore rispetto per le sue posizioni.
(Milano/g.s.) – Nei giorni scorsi mons. Gregorio III Laham – patriarca greco melchita di Antiochia, d’Alessandria e di Gerusalemme (con sede a Damasco) – ha diffuso un testo in 24 punti datato 16 luglio e contenente «riflessioni e osservazioni» sulla situazione siriana.
Il documento si propone espressamente come un vademecum che intende chiarire una volta di più la posizione della Chiesa cattolica locale davanti agli eventi drammatici in corso nel Paese. Il patriarca lamenta una campagna di denigrazione in atto «contro i pastori delle Chiese in Siria e contro le loro prese di posizione». Una campagna che Laham non riesce a spiegarsi, e che è fatta di accuse che addebitano ai vescovi atteggiamenti di «compromissione, di sfruttamento e di collusione col regime, di temporeggiamento, di servilismo o di indolenza» (n. 9).
Come ha già fatto varie volte dall’inizio della crisi, il presidente dell’episcopato cattolico siriano ribadisce che la libertà sua e dei confratelli è garantita e che «lo Stato o i suoi responsabili non hanno mai rivolto ai pastori alcuna indicazione o invito a fare una determinata dichiarazione o ad adottare una determinata posizione» (n. 10).
Qui l’autodifesa si fa estremamente decisa: «È sovversivo dubitare della credibilità dei pastori della Chiesa o della loro trasparenza, della loro fedeltà o della loro obiettività, della veracità delle loro fonti di informazione o delle notizie che diffondono. I pastori non si appoggiano sui mezzi di comunicazione, ma sono in contatto permanente coi loro sacerdoti, i monaci e le monache, i fedeli e tutti gli altri cittadini» (n. 13).
I documenti ufficiali che contengono le prese di posizione delle Chiese negli ultimi mesi sono agevolmente consultabili da tutti, dice Laham. Ci sono quelli pubblicati dalla gerarchia cattolica e le dichiarazioni dei tre patriarchi la cui sede è in Siria: il patriarca greco-ortodosso, quello siriaco-ortodosso e il greco-cattolico. (cfr n. 11)
È solo in quei documenti e in quelle dichiarazioni ufficiali, osserva il patriarca, che va ricercata «la voce ufficiale della Chiesa in Siria»: «Non consentiamo a nessuno di parlare a nome nostro o a nome dei cristiani in Siria, di distorcere le nostre dichiarazioni e di muoverci qualunque genere di accuse» (n. 12).
Qual è allora, in sintesi, la posizione della Chiesa? Il patriarca greco-melchita la riassume nei primi punti delle sue riflessioni.
Anzitutto la convinzione che «il maggior pericolo in Siria oggi sia l’anarchia, l’assenza di sicurezza, il massiccio impiego di armi da tutte le parti. La violenza, purtroppo, è il linguaggio che oggi prevale». Incombe «un pericolo che riguarda tutti i cittadini, senza differenza di razza, religione o colorazioni politiche». (n. 1)
I cristiani, osserva Laham, rappresentano «l’anello debole. Privi di difese, sono la parte più esposta allo sfruttamento, all’estorsione, ai rapimenti, alle sevizie e anche all’eliminazione (fisica). Ma sono anche la parte pacificatrice, non armata, quella che fa appello al dialogo, alla riconciliazione, alla pace e all’unità tra tutti i figli e le figlie dell’unica patria» (n. 2). E tuttavia i vescovi siriani rifiutano di considerare che ci sia in atto un conflitto islamo-cristiano: «I cristiani non sono presi a bersaglio in quanto tali, ma sono tra le vittime del caos e della mancanza di sicurezza» (n. 3).
Il patriarca denuncia come «il maggior pericolo, l’ingerenza di elementi stranieri arabi od occidentali. Un’ingerenza che si traduce in armi, denaro, mezzi di comunicazione [che forniscono informazioni] a senso unico, programmate e sovversive» (n. 4).
Tale intromissione, nella lettura del leader religioso greco-melchita, non giova a nessuno e «indebolisce anche la voce della moderazione che è specificamente quella dei cristiani e, più precisamente, la voce dei Patriarchi e dei Vescovi, come pure dell’Assemblea della gerarchia cattolica in Siria». (n. 6) Una voce che, a più riprese, ha chiesto riforme, libertà, democrazia, lotta contro la corruzione, sostegno allo sviluppo, alla libertà di parola e alla promozione del dialogo. (cfr n. 6)
«Il linguaggio delle dichiarazioni – rimarca l’ottavo punto del vademecum del patriarca Laham – è sempre stato positivo, pacifico, e si è appellato all’amore e al dialogo e al rifiuto di ricorrere alle armi. (…) In breve, le dichiarazioni sono lontanissime da ogni estremismo, di qualunque sorta». «Nessun passaggio di queste dichiarazioni fa allusione alla persecuzione dei cristiani, che, come abbiamo visto, non sono presi di mira in quanto tali. Non ci sono neppure allusioni a concetti del tipo “musulmani”, “salafiti”, “fondamentalisti”, “oppositori”, “paura”, “regime” o “Partito”». (n. 7)
Laham contrattacca: «In compenso, riteniamo che siano le posizioni di talune personalità, di certa stampa e di particolari istituzioni a nuocere ai cristiani in Siria e ad esporli al pericolo, ai rapimenti, allo sfruttamento e persino alla morte» (n. 14). «Sono queste stesse posizioni, con la loro pretesa di interessarsi in modo intempestivo ai cristiani, che possono aumentare il radicalismo di certe fazioni armate contri i cristiani. Esse esasperano le relazioni tra i cittadini, in particolare tra cristiani e musulmani, come è accaduto a Homs, a Qusayr, a Yabrud e Dmeineh Sharquieh ecc…». (n. 15)
È più opportuno, quindi, adoperarsi per la pace civile nella Siria in quanto nazione intera. Laham si dice convinto che «malgrado il sangue versato in abbondanza e gli odi che si sono manifestati con sentimenti d’inimicizia e rancore, i siriani, a causa della loro lunga storia, restino esperti in convivialità e che possano risolvere questa crisi pericolosa, unica nella loro storia, aiutandosi gli uni gli altri, amandosi e perdonandosi e lavorando insieme per il futuro comune». (n. 18)
Una speranza estrema, che si aggrappa a tutti i segni ancora presenti di umanità e benevolenza: «Così – scrive il patriarca al n. 19 – noi riponiamo molta speranza nelle iniziative della società civile per rafforzare la carità e i legami tra i siriani che il conflitto minaccia di distruggere. Preghiamo per il successo del movimento Mussalaha (riconciliazione) nel quale sono attivi, al fianco dei loro fratelli di altre confessioni, delegati di tutte le Chiese». «Allo stesso modo, noi crediamo, speriamo e ci attendiamo che il ministero di riconciliazione, creato specialmente dalla Mussalaha, riesca nella sua missione di riportare l’unità e l’amore nei cuori di tutti. (…) Nutriamo pure molta speranza nella creazione (in seno al governo insediatosi in giugno sotto la guida del neo primo ministro Riyad Farid Hijab – ndr) di quel nuovo organo che è il ministero della Riconciliazione nazionale» (n. 20).
Nuovamente torna l’esortazione, rivolta a tutti, a rigettare la violenza e porre fine al ciclo di uccisioni e distruzione, specialmente contro i civili inermi, cristiani o musulmani che siano.
Le riflessioni del patriarca ripropongono quindi una convinzione più volte risuonata anche durante il Sinodo dei vescovi per il Medio Oriente nell’ottobre 2012: lo stesso mondo islamico ha bisogno della presenza cristiana presso di sé. E noi resteremo, dice Laham, così come abbiamo fatto lungo i 1.435 anni di storia comune (cfr n. 23).
In conclusione il patriarca spiega che le posizioni espresse dai vescovi germogliano tanto dalla loro coscienza di cristiani quanto da quella di cittadini di uno Stato laico. Il prelato spiega che «le prerogative di cui si pensa che i cristiani godano in Siria, non sono altro che i diritti universali di tutti i cittadini siriani, a qualunque confessione appartengano». Il particolare statuto che lo Stato riconosce ai cristiani in alcuni ambiti, spiega il testo, «è basato sulla storia e sul sistema confessionale dei “millet” del periodo degli Ottomani. Il patriarca era allora il capo della sua Chiesa e quindi il suo punto di riferimento tanto religioso quanto secolare. La materia della giurisprudenza ecclesiastica privata s’è sviluppata durante il Protettorato francese e sotto i successivi governi siriani fino a quello attualmente in carica. Dunque l’affermazione che lo statuto dei cristiani è frutto della loro adesione al regime [attuale] e finirà con esso è assolutamente falsa!». (n. 22).
Le argomentazioni di mons. Laham si concludono con il punto 24, che contiene gli appelli rivolti a una pluralità di interlocutori.
Agli arabi si chiede di lavorare per la propria unità interna, perché «la divisione del mondo arabo è sempre stato il principale bersaglio interno ed esterno. Questa divisione è la ragione dei pericoli che gravano sulla regione ed è la causa dell’assenza di una soluzione giusta e globale al conflitto israelo-palestinese. Questo conflitto è il fondamento e la causa primordiale della maggior parte delle sventure, delle crisi e delle guerre del mondo arabo. Questo conflitto – come testimoniano il Santo Padre il Papa, molti ecclesiastici, nunzi apostolici ed anche le testimonianze di politici israeliani ed ebrei – è la causa prima dell’esodo dei cristiani. (…) La pace è nell’unità del mondo arabo e la salvezza dei cristiani non è assicurata che nell’unità del mondo arabo, dalla quale derivano le circostanze propizie alla convivialità e al dialogo islamo-cristiano e intra-islamico. Il più grande pericolo in questo campo lo corre l’Islam stesso quando si divide lungo le linee di frattura del mondo arabo. Ne è la prova il conflitto sunnita-sciita. Questo fenomeno è più pericoloso del pericolo che corrono i cristiani o le altre confessioni in Siria e nella regione».
Ai «fratelli d’Europa» Gregorio III Laham dice senza mezzi termini che per aiutare davvero i cristiani del Medio Oriente devono interessarsi all’unità del mondo arabo, risolvere il conflitto israelo-palestinese e lavorare per la pace nella regione.
Infine, sempre rivolto agli europei, quasi un grido accorato: «Il destino di tutti noi, cristiani e musulmani arabi è identico. Non separateci dal nostro ambiente comunitario arabo, né dal nostro ambiente comunitario musulmano. Aiutateci a giocare il nostro ruolo e la nostra missione nel mondo arabo perché noi possiamo essere presenti nel mondo arabo, con esso e per esso… ed essere in quel contesto come luce, sale e lievito. (…) Nelle vostre analisi, non fate di noi degli intrusi nel nostro mondo arabo islamo-cristiano, né degli agenti, dei dhimmi o dei protetti, da voi o da chiunque altro. Aiutateci ad essere i cristiani della Chiesa degli arabi e della Chiesa dell’Islam. Fratelli europei: non mascherate i vostri interessi dietro allo zelo per i cristiani!».