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Un amore scritto con la vita

Elena Bolognesi
1 giugno 2012
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A due anni dall’assassinio di mons. Luigi Padovese, vicario apostolico dell’Anatolia, esce una raccolta di suoi inediti: omelie e scritti pastorali del periodo 2004-2010. Padovese proveniva dai frati Cappuccini ed è proprio un suo confratello, fra Paolo Martinelli, a curare il volume. Nella Prefazione, il cardinale Angelo Scola elogia il vescovo scomparso per «il richiamo costante e deciso a una consapevolezza chiara dell’identità cristiana» e la «tensione all’incontro e al dialogo con chiunque».


A due anni dall’assassinio di mons. Luigi Padovese, vicario apostolico dell’Anatolia, esce una raccolta di suoi inediti: omelie e scritti pastorali che si riferiscono al periodo del suo ministero episcopale (2004-2010). Monsignor Padovese, originario di Milano, proveniva dalla famiglia francescana dei Cappuccini ed è stato proprio un suo confratello, fra Paolo Martinelli, a curare il volume, che ha per titolo il suo motto episcopale: «La verità nell’amore».

La prima parte del volume presenta le omelie che è stato possibile reperire, non senza difficoltà. Sono raggruppate per temi: quelle pronunciate in occasione della sua nomina episcopale e quelle più strettamente legate al tempo liturgico; quelle che ricordano la figura di don Andrea Santoro, anch’egli vittima di un feroce assassinio in Turchia (il 5 febbraio 2006), e quelle che raccontano il suo ministero di vescovo, nell’amministrazione dei sacramenti. Infine, le ultime pagine sono dedicate alle lettere pastorali indirizzate alla piccola ma antichissima comunità cristiana di Anatolia.

Uomo mite e semplice, dedito per anni allo studio della patristica, quando il Papa gli chiede di lasciare l’Istituto francescano di spiritualità dell’Università Antonianum, cui si era dedicato per molti anni, non lo fa a cuor leggero: «Leggendo in spirito di fede il cammino della vita, rivedo tutto come preparazione a questa che considero l’ultima e più importante tappa della mia esistenza». L’Anatolia, sino ad allora confine geografico e storico di molti dei suoi studi, diventa per lui una comunità, volti e storie che prendono vita, in una terra che, ben lungi dai fasti di un tempo, è diventata per i cristiani terra di testimonianza, anche a prezzo del proprio sangue.

E mons. Padovese si prende cura del piccolo gregge che gli è affidato con sollecitudine pastorale e grande umanità. Non mancano i riferimenti alle difficoltà, sia quelle di carattere materiale che quelle legate alla delicata situazione socio-politica. Particolarmente toccanti sono le omelie dedicate a don Andrea Santoro, cariche di tristezza ma anche di perdono e speranza.

La prefazione al volume è affidata al cardinale Angelo Scola, che aveva avuto l’opportunità di collaborare con mons. Padovese. Le parole dell’arcivescovo di Milano evidenziano la coerenza di mons. Padovese al suo motto episcopale: «Da una parte il richiamo costante e deciso ad una consapevolezza chiara dell’identità cristiana… dall’altra la tensione all’incontro e al dialogo con chiunque». La verità nell’amore.

L’introduzione e la postfazione al volume sono del ministro provinciale di Lombardia e del ministro generale dei Frati Minori Cappuccini.

Paolo Martinelli (a cura di)
La verità nell’amore
Omelie e scritti pastorali di mons. Luigi Padovese
Edizioni Terra Santa, Milano 2012
pp. 240 – 16,50 euro

 


Di seguito proponiamo alcune pagine del volume. Sono quelle che riportano la breve lettera pastorale che il vescovo cappuccino inviò ai fedeli del suo vicariato per l’anno pastorale 2007-2008. Crediamo che le parole semplici di mons. Padovese possano essere eloquenti anche per lettori, come noi, geograficamente e cronologicamente lontani dalla Turchia. 

 

Siamo successori di Paolo e dei primi cristiani
Lettera pastorale di mons. Luigi Padovese a tutti i fedeli
del vicariato di Anatolia

 

Cari fratelli e sorelle,
il Signore vi dia pace.

Ogni giorno prego perché questa pace sia sempre con voi. Compito del vescovo, infatti, non è soltanto quello di guidare, istruire e sostenere quanti gli sono affidati, ma anche pregare per loro. La nostra Chiesa di Anatolia è numericamente ridotta, ma ormai vedo bene i suoi bisogni e so quanto ciascuno di noi ha necessità che altri preghino per lui.

Ormai sono quasi tre anni da quando la Provvidenza mi ha inviato tra di voi. Non posso dirvi che sono stati anni facili. Tante preoccupazioni e problemi mi hanno spesso tolto la tranquillità e come Pietro in mezzo al mare, ho chiesto al Signore: “Aiutami, perché sto affondando”.

Nonostante tutto, posso dirvi che sono felice di essere con voi e ringrazio Dio del privilegio di far parte della nostra Chiesa di Anatolia.

Le difficoltà che ho sperimentato erano forse una prova per vedere se veramente amo questa nostra comunità.

Da fratello che parla ad altri fratelli, permettete che richiami una difficoltà che a volte mi crea tristezza: l’impressione che la nostra fede sia convenzionale, manchi di un approfondimento e si esprima in una partecipazione ridotta alla preghiera comunitaria, soprattutto la domenica.

Molti di voi appartengono a famiglie che hanno avuto il coraggio di rimanere cristiane, nonostante le pressioni esterne contrarie. Sapete bene che nel secolo scorso in questa nostra Turchia diversi cristiani, per necessità o per convenienza, ma certo non volentieri, hanno rinunciato alla loro fede o l’hanno nascosta. Sono ancora centinaia di migliaia i discendenti di queste famiglie antico-cristiane e con piacere noto che, di tanto in tanto, qualcuno occasionalmente si richiama alla fede dei propri genitori o nonni. Dico queste cose non per giudicare chi ha abbandonato la propria identità cristiana, ma per dire a voi che la fede trasmessa da quanti ci hanno preceduto non è come un quadro antico che conserviamo nelle nostre case, ma è un dono di Dio che non vive senza la nostra collaborazione.

Ho già scritto in precedenza che “cristiani non si nasce, ma si diventa” e con quelle parole intendevo dire che la grazia di Dio è inefficace senza la nostra cooperazione. Dio non ci costringe, ma ci invita. Gesù nel vangelo non ha mai costretto nessuno a seguirlo, ma ha fatto soltanto una proposta: «Se vuoi, vieni e seguimi» (Mt 19,21).

Anche a noi viene di continuo riformulata questa proposta che rispetta la nostra libertà. Forse è bene ricordare che Dio non ha bisogno della nostra preghiera, della nostra osservanza della legge. Il volto di Dio, quale ci presenta Gesù, non è quello di un esattore delle tasse o di un giudice che si aspetta l’esatto adempimento dei comandamenti. Dio è padre e quando ci chiede qualcosa non è per il suo bene, ma per il nostro vantaggio. Quando ci chiede di pregare, non lo fa perché la nostra preghiera lo rende più grande. Quando ci chiede di essere buoni con gli altri, non si aspetta che lo facciamo per averne una ricompensa. Gesù ci ha insegnato cosa significa ‘gratuità’ e amore disinteressato, anzi un amore che guarda più all’altro che a se stesso.

A chi ha accettato di seguirlo, il Signore fa poi questa proposta: “Come ho fatto io così fai anche tu”. Guardate che questo “come” è molto importante, perché dà la misura di quanto siamo discepoli di Gesù. Siamo capaci di servirci a vicenda come lui ha fatto? Siamo pronti a perdonare come lui ha perdonato? Ci amiamo come lui ci ha amato? Cari fratelli, vi propongo queste poche riflessioni, perché penso che ciascuno di noi, nelle nostre comunità, abbia bisogno di conoscere più profondamente le ragioni della sua fede. Se qualche nostro fratello musulmano ci chiedesse: “Perché sei cristiano?”. Che cosa risponderemmo? Sarebbe sufficiente dire: “È la fede che ho ereditato dai miei genitori”? Ma se una fede ricevuta non è fatta propria, è una povera fede. Gesù nel vangelo ci indica anzitutto alcune vie per rendere questa fede sempre più personale: invita anzitutto ad entrare “nel segreto della propria stanza” per incontrare Dio. E ciò significa che la sola preghiera comunitaria non basta. Ancora Gesù ci invita a scoprire il volto di Dio attraverso la lettura del vangelo. Infine ci sollecita a pregare assieme, poiché «dove due o tre sono riuniti nel mio nome, io sono in mezzo a loro».

Cosa deduciamo da queste parole se non che Dio non vuole essere trattato da noi come un idolo muto al quale offrire parole e gesti, ma senza la partecipazione del cuore? L’apostolo Giovanni che ha posato la sua testa sul petto di Gesù nell’ultima cena, ci ha detto che «Dio è amore » (1Gv 4,16). Ebbene, se è veramente così, cosa può attendersi da noi se non una risposta d’amore? E per amare, bisogna essere presenti, non soltanto con il corpo, ma anche con la volontà, con il cuore.

Facciamo un esame di coscienza sul nostro modo di pregare e chiediamoci se nell’accostarci al Signore Gesù o al Padre celeste prevale più l’impegno del dovere da compiere che il bisogno dell’incontro con Colui che ci ama più di quanto noi amiamo noi stessi.

Come forse saprete, il papa Benedetto il 28 giugno ha dichiarato che dal 28 giugno 2008 al 29 giugno 2009, la Chiesa cattolica celebrerà il bimillenario della nascita dell’apostolo Paolo.
Paolo, come tutti voi, è figlio di questa terra. Paolo è uno di noi. Chi ha in tutto il mondo cristiano il privilegio di poter dire: Paolo è nato nella mia terra di Anatolia? Certamente, la città di Roma ha visto il tramonto terreno dell’apostolo e le sue ossa sono conservate là, ma è a Tarso che egli ha visto la luce ed è ad Antiochia che egli ha trovato la sua comunità cristiana. Dico queste cose perché al nostro privilegio di essere conterranei di Paolo, risponda anche l’impegno di conoscerlo di più. Paolo, attraverso la sua esperienza di Gesù, ci può fare da guida – attraverso le sue lettere – nell’avvicinarci a Dio.

Quest’anno vi invito pertanto a prendere in mano le sue lettere e a leggerle. Da parte mia, nei prossimi mesi, vi invierò un progetto di lettura perché, conoscendo meglio la figura di questo apostolo del vangelo, possiamo «conoscere l’amore di Cristo che sorpassa ogni conoscenza» (Ef 3,18). Paolo che aveva in sé «la sollecitudine per tutte le Chiese» (2Co 11,28), guardi a questa nostra Chiesa di Anatolia che è la sua Chiesa e interceda presso Dio perché siamo come lui, testimoni credibili del vangelo.

Vi benedico.

 

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