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Turismo arma di pace

Carlo Giorgi
16 maggio 2012
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Turismo arma di pace
Questo graffito sul muro di separazione tra Israele e Territori palestinesi è un omaggio alla speranza (Hope). (foto L. Senigalliesi)

«Escursioni offronsi nella parte ignota (e più oscura) della Terra Santa». Potrebbe essere questo lo slogan di Green Olive Tours, una piccola agenzia turistica di Gerusalemme che da alcuni anni si è lanciata in una proposta di turismo alternativo, lontano dagli stereotipi tradizionali e controcorrente rispetto alle paure che pervadono la società israeliana e quella palestinese.

Chi lavora nel turismo sa che esistono almeno due Terre Sante. La prima è quella accessibile al grande traffico di pellegrini: Gerusalemme, Nazaret, Betlemme. Strade sicure e veloci, nessun problema di sicurezza e alti standard di accoglienza. La seconda, invece, è quella problematica che viene rigorosamente evitata da tour operator e organizzatori di pellegrinaggi: di questa terra fa parte, ad esempio, l’antica Hebron, città dei padri della fede, Abramo, Isacco e Giacobbe; santa come Gerusalemme ad ebrei, cristiani e musulmani. Santa ma esclusa dagli itinerari classici e deserta di turisti, a causa dei «panni sporchi» dell’occupazione che non si vorrebbe mettere in mostra, temendo che questo mandi in frantumi il fascino della Terra biblica, al di là di ogni stereotipo.

La novità, oggi, è che un piccolo gruppo di agenzie ha deciso di puntare su questa seconda Terra del Santo.

«Il nostro scopo è di far conoscere meglio il nostro Paese, in particolare ai turisti stranieri – racconta Fred Schlomka, ebreo israeliano, fondatore dell’agenzia -. La Terra Santa è composta da Israele e dai Territori palestinesi, che vivono in un regime di occupazione. Parlarne ai turisti, raccontare quello che avviene, farli incontrare con cittadini arabi, è il modo che abbiamo trovato per offrire il panorama più completo possibile della Terra Santa; e i turisti sembrano gradire».

Green Olive Tours nasce nel 2007 da un’intuizione di Fred, prima di allora impiegato in un’organizzazione non governativa israeliana: «Molti volontari provenienti dagli Stati Uniti e dall’Europa ci chiedevano di visitare il Paese – racconta Fred -. Così abbiamo iniziato ad organizzare tour che spiegassero la realtà del conflitto. Ci siamo resi conto che, con queste visite, riuscivamo a comunicare situazioni anche molto difficili; e così abbiamo pensato di dare vita a un’attività vera e propria». In cinque anni l’agenzia è cresciuta: oggi, oltre a Fred, nell’ufficio centrale lavorano altre due persone; otto guide sono occupate regolarmente con le comitive dei turisti, diverse altre vengono reclutate saltuariamente. «I Territori palestinesi non sono tutti uguali – spiega Fred -: nella cosiddetta Area C, che corrisponde al 60 per cento della loro estensione, gli israeliani possono circolare liberamente, tanto che vi si sono insediati 600 mila coloni. Viceversa nell’Area A, sottoposta ad amministrazione palestinese, i cittadini ebrei israeliani non possono entrare per un divieto dello stesso Stato di Israele. Così ci siamo organizzati a chiamare guide israeliane per le visite in Israele e nell’Area C, e guide palestinesi nell’ Area A. Mentre a Gerusalemme possono lavorare le guide palestinesi residenti in città».

Il tour classico di Green Olive Tours è una giornata trascorsa tra Hebron e Betlemme: santuari e monumenti, campi profughi e insediamenti israeliani. «Siamo una piccola agenzia rivolta a un pubblico straniero, poco conosciuta in Israele – racconta Fred -; quando qualche israeliano ci incontra, può capitare che reagisca con stupore o rabbia. Non si capacita del fatto che un israeliano debba portare dei turisti nei Territori Occupati. Io invece la penso in modo opposto. Credo sia fondamentale per la gente entrare in contatto e capirsi. E cerco di farlo attraverso gli strumenti che ho a disposizione». La costruzione di ponti non aiuta a superare solo il conflitto. Un’altra idea dell’agenzia è quella di tour ecumenici dedicati a pellegrini: «In questi giorni abbiamo un gruppo di viaggiatori canadesi, appartenenti a una Chiesa protestante – racconta Fred -; sono molto interessati alla situazione dei cristiani in Terra Santa; quindi, oltre a portarli nei santuari e nei luoghi visitati da Gesù, abbiamo organizzato incontri con i cristiani locali; alcuni turisti sono ospitati presso famiglie della Chiesa greco-ortodossa, che qui è la Chiesa più numerosa. Così, per qualche giorno, diventano loro stessi parte di una comunità cristiana di Terra Santa».

Se la Green Olive Tours cerca di raccontare agli stranieri, attraverso il turismo, la realtà del Paese, altri cercano di parlarne direttamente all’opinione pubblica israeliana. È il caso di Combatants for Peace e Breaking the Silence, due organizzazioni animate da ex militari che hanno sperimentato direttamente e sul campo le conseguenze dell’occupazione.

«Ho prestato servizio dal marzo 2001 al marzo 2004, nei Territori palestinesi. Congedandomi con i gradi da sergente – racconta Yehuda Shaul, 29 anni, tra i responsabili di Breaking the Silence -. Durante la leva mi sono reso conto delle responsabilità morali legate all’occupazione: così, terminato il servizio ho organizzato una mostra fotografica in cui raccontare quello che avviene nei Territori. L’iniziativa non è stata molto gradita: l’esercito è venuto a visitarci e ha sequestrato il materiale. Ma noi abbiamo continuato a dare la nostra testimonianza: da allora abbiamo intervistato centinaia di militari sulla loro esperienza di servizio; e organizziamo tour in particolare nell’area di Hebron: solo nel 2011, ne abbiamo organizzati circa 300 e le nostre attività hanno coinvolto 10 mila persone». A Breaking the Silence oggi lavorano undici operatori e sono attivi un’ottantina di volontari, con incarichi e responsabilità diverse. «Le visite sono guidate da ex militari che conoscono bene il territorio – spiega Yehuda -. Durante un tour cerchiamo di far capire la realtà di Hebron da tre punti di vista: quello dei soldati che vi prestano servizio; quello delle famiglie palestinesi che ci vivono; ma diamo anche dati sulla precaria condizione dei diritti umani nel territorio. Sappiamo bene che non sono argomenti facili. Tuttavia ci rincuora il fatto che un sondaggio uscito successivamente a un nostro rapporto relativo all’operazione Piombo Fuso nella Striscia di Gaza del 2009, indichi come il 43 per cento degli ebrei israeliani creda nella nostra testimonianza. Questa è un’ottima base dalla quale partire».

Combatants for Peace è, invece, un’organizzazione che raccoglie ex militari israeliani ed ex combattenti palestinesi. I primi, terminato il servizio di leva, decidono di raccontare quanto hanno visto; i secondi, dopo un periodo di militanza, scelgono un impegno non violento. Tra le loro attività, tour nella zona di Hebron e Nablus, per far conoscere ai propri concittadini le conseguenze dell’occupazione: «Facciamo un tour al mese e vi partecipa un numero di persone compreso tra le 15 e le 50 – racconta Ari Greenfield, una ragazza israeliana che ha svolto il suo servizio militare dal 2005 al 2007 -. Con un pullman passiamo a prendere i partecipanti a Tel Aviv e Gerusalemme. Prima di arrivare a Hebron, il pullman fa molte tappe e si ferma, ad esempio, alla Tomba di Rachele, vicino a Betlemme, completamente racchiusa dentro il muro di separazione israeliano. Molti israeliani hanno un’immagine idilliaca della tomba di Rachele, come di un luogo idealizzato in mezzo alla campagna, Vedere di persona come è oggi, impressiona: nessuno si aspetta che il muro di separazione sia così vicino alla tomba e così incombente. È la dimostrazione di come l’occupazione abbia cambiato tutto.

Il tour finisce nei Territori, in un ristorante dell’Area C, dove possono andare anche gli israeliani – spiega Ari -. Qui si beve qualcosa insieme. È il momento più importante di tutta la giornata, poiché incontri tra arabi e israeliani non avvengono assolutamente mai e ne abbiamo un bisogno vitale».

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