Secondo le anticipazioni di alcuni media potrebbe finire oggi lo sciopero della fame che molte centinaia di detenuti palestinesi nelle carceri di Israele hanno intrapreso alcune settimane fa. Secondo l’agenzia Maan News l’accordo sarebbe stato raggiunto questa mattina al Cairo tra le delegazioni palestinese e israeliana. Ora si attende il sì degli scioperanti.
(Milano/g.s.) – Secondo le anticipazioni di alcuni media potrebbe concludersi oggi lo sciopero della fame che molte centinaia di detenuti palestinesi nelle carceri dello Stato di Israele hanno intrapreso da alcune settimane.
Secondo l’agenzia Maan News un accordo sarebbe stato raggiunto questa mattina al Cairo tra una delegazione palestinese e i responsabili dell’amministrazione penitenziaria israeliana, grazie ai buoni uffici dei mediatori egiziani.
Per poter dire che la crisi è chiusa occorre l’approvazione del coordinamento dei detenuti in sciopero, che in queste ore sta esaminando gli esiti del negoziato.
Secondo le indiscrezioni essi dovrebbe prevedere, quanto meno, la fine del regime di isolamento e la concessione ai familiari dei detenuti della Striscia di Gaza dei permessi necessari per poter far visita ai congiunti incarcerati.
Da fonti israeliane, riportate dal quotidiano Haaretz, pare che le autorità penitenziarie siano disposte a revocare anche le restrizioni imposte ai prigionieri palestinesi come ritorsione per il rapimento del soldato israeliano Gilad Shalit (durato dal 25 giugno 2006 al 18 ottobre 2011). Restrizioni che inibivano l’accesso a libri e materiali didattici.
La «battaglia degli stomaci vuoti», come è stata denominata dagli stessi protagonisti, è una forma estrema e non violenta di lotta iniziata alla fine dello scorso anno dal trentatreenne Khader Adnan. Il suo sciopero della fame, durato 66 giorni, fu sospeso il 21 febbraio, dopo che le autorità israeliane ebbero assicurato la scarcerazione a metà aprile, allo scadere del periodo di detenzione amministrativa.
Di lì a poco l’esempio di Adnan è stato seguito da molti altri palestinesi detenuti in situazioni analoghe (oggi gli scioperanti sarebbero tra i 1.600 e i 2.000). Per la loro causa si sono mobilitate le organizzazioni di base, che hanno dato vita a ripetute manifestazioni di piazza, tanto in Israele quanto nei Territori Palestinesi, sollecitando la solidarietà dell’opinione pubblica, degli organismi umanitari, dei governi e delle organizzazioni internazionali.
Anche i vertici dell’Autorità Palestinese si sono attivati con un’azione diplomatica e mediatica su più fronti. Il presidente Mahmoud Abbas (Abu Mazen) nei giorni scorsi ha avvertito che la morte di anche uno solo degli scioperanti potrebbe causare un disastro e generare reazioni difficilmente gestibili.
Il 2 maggio scorso il ministro dell’Autonomia palestinese preposto alle questioni dei detenuti, Issa Qaraqe, si era rivolto a Benedetto XVI sollecitando un suo intervento per ragioni umanitarie. La settimana scorsa anche Tony Blair, rappresentante del Quartetto per il Medio Oriente, era stato esortato a intervenire con urgenza. Come il segretario generale delle Nazioni Unite Ban Ki-moon, negli ultimi giorni lo stesso Blair si è detto preoccupato per il deteriorarsi delle condizioni di salute dei detenuti palestinesi.